L'UDIENZA TELEMATICA

L'UDIENZA TELEMATICA

Un po’ di storia

L’art. 3, comma 5, del D.L. 8 marzo 2020 n. 11 («Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria») aveva previsto l’udienza “mediante collegamenti da remoto”, espressione generica che comprende sia il collegamento telefonico, sia la video conferenza, come mera possibilità organizzativa a disposizione dei Presidenti titolari delle Sezioni del Consiglio di Stato, del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, dei presidenti dei TAR e delle relative Sezioni staccate, in alternativa al “contraddittorio cartolare coatto” (introdotto anche esso dal co. 4 del medesimo articolo), cioè la disposizione per cui i ricorsi già fissati per la trattazione alla udienza pubblica o camerale sarebbero stati decisi sulla base degli atti, senza discussioni alcune, salva la richiesta di anche una sola delle parti, di procedere alla discussione, in camera di consiglio o in udienza pubblica. In tal caso, il co. 5 prevedeva appunto la possibilità di effettuare le udienze, che per brevità definiremo, telematiche.

Il quadro muta con l’introduzione dell’art. 84, comma 11, del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, che abroga l’intero art. 3 del D.L. n. 11/2020 e quindi anche la possibilità delle udienze da remoto. Contestualmente però, l’art. 84 riconferma la decisione sulla base degli atti e introduce la camera di consiglio (deliberante) tra i magistrati mediante “collegamenti da remoto”, non però l’udienza né pubblica né camerale.

La storia non si conclude, perché il d.l. 30 aprile 2020, n. 28, con l’art. 4, novella il citato art. 84 del d.l. 18 del 2020, prevedendo che: “A decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale ... mediante collegamento da remoto ... L'istanza è accolta dal presidente del collegio se presentata congiuntamente da tutte le parti costituite. Negli altri casi, il presidente del collegio valuta l'istanza, ... Se il presidente ritiene necessaria, anche in assenza di istanza di parte, la discussione della causa con modalità da remoto, la dispone con decreto.”

La udienza telematica fa nuovamente capolino, se chiesta da tutte le parti o ritenuta necessaria dal Presidente. Questo lo stato attuale.

Udienze in videoconferena

Si è assistito, quindi, ad una ondivaga posizione del Legislatore sulla questione, ormai da tempo agitata, della celebrazione delle udienze pubbliche e camerali mediante i ben noti programmi di videoconferenza. Sempre con il filtro della valutazione e decisione presidenziale, essa è, allo stato attuale e salvo ulteriori ripensamenti, prevista e permessa, sino al termine del periodo di sospensione della regolare attività, data sulla quale è difficile pronunciarsi come già la più autorevole dottrina ha osservato [1], ma che al momento non rileva qui. Queste incertezze testimoniano come l’argomento sia molto caldo e veda due schieramenti opposti, agguerriti ed entrambi in grado di condizionare il Governo nelle sue proposte normative.

 

 

Ammissibilità costituzionale della udienza telematica

L’art. 84 presenta ampie discrasie e antinomie e solleva dubbi di cui la migliore dottrina si è già occupata[2], Tra esse vogliamo qui affrontare quella che riguarda la ammissibilità costituzionale della stessa udienza telematica. Per far ciò, però, occorre prendere le mosse da un diverso, ma analogo dubbio di costituzionalità riguardante l’istituto logicamente connesso, come vedemmo, della decisione allo stato dei documenti o “contradditorio cartolare coatto” di cui l’udienza telematica sembra essere una alternativa. L’art. 84 più volte citato, come novellato, diversamente dall’abrogato art. 3, non prevede espressamente che le parti o una di esse possano manifestare la volontà di discutere il ricorso cautelare o di merito, ma prevede solo il rinvio per la presentazione di note. Si deduce da ciò che il tenore letterale delle norme sembra autorizzare il giudice a disporre il rinvio della trattazione della causa solo per consentire il compiuto esercizio del contraddittorio scritto di cui all’art. 73 c.p.a. (impedito dalla sospensione dei termini predisposta dal 8 marzo 2020 e fino al 15 aprile 2020, poi prorogata), senza accordare alla parte alcuna facoltà di chiedere un differimento al fine di discutere oralmente la causa. In questi termini il contraddittorio cartolare diviene appunto coatto e la celebrazione dell’udienza, camerale o pubblica, è negata.

Dinanzi ad una delle parti che, viceversa, chiedeva un rinvio per la trattazione orale, la V sezione del C.d. S. ha affrontato la questione [3] giungendo alla conclusione della incostituzionalità di un sistema che privi le parti del confronto diretto con il Giudice nella udienza, per violazione degli artt 24 e 111 della Costituzione e dell’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo. In sintesi, il Consiglio prende le mosse dalla constatazione per cui, “non ostante il processo amministrativo non sia improntato al principio di oralità delle dichiarazioni e del contraddittorio in senso “forte” ben potendo il confronto tra i litiganti e con il giudice avvenire in forma meramente cartolare e le parti decidere di neppure comparire in udienza”, cionondimeno, “il contraddittorio cartolare non appare una soluzione ermeneutica compatibile con i canoni della interpretazione conforme a Costituzione.”

Il comma 2 dell’art. 111 della Costituzione, nello stabilire che il «giusto processo» debba svolgersi «nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità», impone, non solo un procedimento nel quale tutti i soggetti potenzialmente incisi dalla funzione giurisdizionale devono esserne necessariamente “parti”, ma anche che queste ultime abbiamo la possibilità concreta di esporre puntualmente (e, ove lo ritengano, anche oralmente) le loro ragioni, rispondendo e contestando le tesi degli avversari. Garanzia procedurale di una interlocuzione diretta col giudice che è contenuta anche nell’art. 24 Cost. immanente al diritto di ottenere dal Giudice una tutela adeguata ed effettiva.

Il Consiglio ricorda che l’l’interpretazione evolutiva dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU ha ricompreso nella norma anche il processo e il procedimento amministrativo.

Il neo ribattezzato processo cartolare «coatto» si porrebbe così in contrasto con la citata norma convenzionale, perché il divieto assoluto di contraddittorio orale potrebbe rilevarsi un ostacolo significativo per il ricorrente che voglia provocare la revisione in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione resa dall’autorità amministrativa. Ma ancora, sotto altro profilo, sarebbe evidente il contrasto con il principio della pubblicità dell’udienza emergente dall’insieme delle disposizioni dello stesso art. 6.

 

 

Udienza di persona: necessità

 

A questo punto della motivazione, il Consiglio si allontana concettualmente dall’oggetto del decidere (che, ricordiamo, riguardava la pretesa della parte di ottenere un rinvio al fine di celebrare una udienza) per affrontare, sia pure incidentalmente e forse inconsapevolmente, il diverso problema della necessità di una udienza di persona. Ricorda, infatti, la Sezione che l’art. 6 della CEDU è stato interpretato dalla Corte nel senso della obbligatorietà di una udienza pubblica, nel duplice senso di aperta alle parti e al pubblico indifferenziato, e tenuta “a porte aperte”. Solo in via del tutto eccezionale ritiene la Corte CEDU che l’udienza possa essere tenuta a porte chiuse. In particolare ciò deve dipendere dalla natura delle questioni da trattare oppure deve essere «strettamente imposta dalle circostanze della causa». [4] La necessità delle “porte aperte” richiama necessariamente una udienza fisica nell’aula apposita, le cui porte siano appunto “aperte” al pubblico.

L’ordinanza cita altresì due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 212 del 9 luglio 1986, ove la Corte afferma che “il principio della pubblicità delle udienze ... recepito in numerose convenzioni internazionali - è indefettibile, nella sua unità, in un ordinamento democratico fondato ... sulla sovranità popolare... salvo il potere del legislatore ordinario di introdurre, per singole categorie di procedimenti, deroghe determinate esclusivamente da ragioni obbiettive e razionali.”. E la n 12 del 29 gennaio 1971, secondo cui : “La regola della pubblicità dei procedimenti giudiziari, pur non essendo stata posta dagli artt. 24, 28, 101 e 111 della Costituzione, va ritenuta - secondo quanto fu già affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 25 del 1965 - coessenziale ai principi ai quali, in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare, deve conformarsi l'amministrazione della giustizia che in quella sovranità trova fondamento (art. 101, primo comma, della Costituzione)”

A tal proposito, la chiusura delle porte è normativamente prevista dall’art. 472 c.p.p., 128 c.p.c., 87 c.p.a., in ipotesi eccezionali e tassative, mentre la pubblicità, evidentemente intesa in questo senso, è presidiata dalla nullità dell’udienza non pubblica, il che è indice di un principio basilare indefettibile, che infatti viene meno solo dinanzi alla tutela di interessi non irragionevolmente, di rango superiore.

Osserva anche il Consiglio che l’imposizione dell’assenza forzata del pubblico, finirebbe per connotare il rito emergenziale in termini di giustizia “segreta”, refrattaria ad ogni forma di controllo pubblico.

Con questo ultimo inciso della motivazione, tuttavia la Sezione imbocca ancor più decisamente una strada motivazionale che riguarda un istituto che non è oggetto di queste note.

Ribadiamo che l’oggetto proprio del giudizio non era costituito dalla udienza telematica, ma dal così detto cartolare coatto. La questione di cui ci occupiamo in questo scritto, invece, è quella, in parte concettualmente coincidente, della possibilità di rispettare il principio costituzionale della pubblicità della udienza, e quindi di un contraddittorio, per immagine, cioè attraverso uno strumento telematico che metta in comunicazione contemporaneamente parti e giudici, realizzando una aula e una udienza virtuali. In altri termini, se il concetto di udienza presupposto degli artt 24, 111 cost., e 6 CEDU, possa essere inverato anche da una udienza telematica.

In realtà, però, le argomentazioni svolte dal C.d.S. dinanzi alla mancanza di udienza (in qualsiasi senso intesa) derivante dal cartolare coatto, sono del tutto riproponibili dinanzi alla udienza telematica, sol se ci si ponga il problema di cosa questa sia e quale sia il rapporto con l’udienza di persona.

 

L’udienza: definizione e ruolo

Torniamo quindi alla definizione e al ruolo che l’ordinamento giuridico attribuisce alla udienza, cioè a quale sia il modello paradigmatico cui si addice il termine processuale “udienza” e ciò anche con riferimento alla Carta Europea.

Giova prendere le mosse prima dal modello. Non esiste una definizione formale di udienza nei codici processuali italiani. Essi si riferiscono sempre ad essa come a una nozione immanente, appartenente al bagaglio culturale ancestrale, non bisognevole di spiegazione o descrizione perché iscritta d’ufficio nel tesoro semantico a livello genetico. Essa è radicata in quella che la scienza definisce “coscienza neuronale della società”, una sorta di tesoretto concettuale condiviso a livello profondo, neuronale appunto.

La dottrina la suole definire come «il periodo di tempo durante il quale il giudice siede per rendere giustizia in una sala della sede dell’ufficio giudiziario a ciò destinata», (V. Caianiello). Ciò è evidente sin dalla etimologia della parola che proviene chiaramente dal verbo latino “audire”. La prima osservazione, quindi è che se non vi è possibilità per il giudice di “ascoltare” in senso proprio le parti, non possiamo dire di trovarci in una udienza. Si potrà obiettare che l’evoluzione tecnologica permette che la funzione dell’udire sia espletata anche attraverso strumenti di riproduzione del discorso in tempo reale, cioè contestualmente alle altre comunicazioni, ma a ciò risponderemo dopo.

Ciò che rileva dalla visione comunemente accettata della udienza, di persona o telematica che sia, è che essa sia un momento di comunicazione collettiva. Le parti e i loro difensori, i testimoni, gli ausiliari e i giudici, seguono un modello antropologico tradizionale, risalente addirittura agli albori della civiltà, dove si registrava la funzione di udienza dello sciamano o del capo tribù, dinanzi alla intera tribù, per risolvere i conflitti. Funzione che si basa sulle relazioni faccia a faccia e sulla interazione immediata degli esseri umani. Un gruppo sociale ristretto, faccia a faccia appunto, finalizzato esclusivamente allo scambio reciproco di informazioni qualificate tendenti, per gli interessati, ad una determinata rappresentazione della realtà e alla esposizione di sillogismi logici; per gli astanti, al controllo sociale sui comportamenti delle parti e del capo/sciamano.

L’udienza è quindi esclusivamente un momento di comunicazione che si situa all’interno del modello sociale sopra descritto, accettato dalla coscienza sociale e dalla così detta “coscienza neuronale della società” come il modello innato che invera e incarna la funzione dell’audire le parti in giudizio.

Interpretazione costituzionale e alla luce della CEDU

Le norme fondamentali (Costituzione e CEDU) devono quindi essere interpretate calandole nella visione antropologica così come comunemente accettata al momento.

Sia Costituzione sia la CEDU, infatti, non sono semplici leggi da interpretare solo esegeticamente, ma sono norme che hanno ad oggetto il binomio persona/istituzione in una determinata situazione ed epoca culturali. Come tutte le norme anche esse provengono dalla realtà e non invece modificano la realtà, e quindi non possono sfuggire innanzi tutto al modello antropologico, filosofico, morale proprio della società e della cultura del momento in cui si inverano e di cui sono specchio. Se così non fosse non si comprenderebbero neppure i loro richiami alla persona, alla personalità, alla dignità, alla stessa libertà che non sono concetti propriamente giuridici elaborati dalla stessa Costituzione o dalla Convenzione, ma valori o immanenti nella cultura e nella coscienza etica del popolo o storicamente realizzatisi, dai quali la Costituzione e la Convenzione ricevono la loro stessa legittimazione. E’ necessaria, in altri termini, una attività ermeneutica, non solo esegetica, in grado di estrapolare i valori fondamentali di cui la norma è manifestazione sensibile, ma il gruppo sociale è il vero nomoteta.

Ciò acquisito, ne discende che la norma costituzionale o pattizia (almeno di questo tipo e natura di patti avente contenuto costitutivo più che regolativo dei comportamenti) non può essa innovare nell’assetto culturale e nella visione antropologica e filosofica che ha dato vita alla medesima Costituzione o Patto. Deve sicuramente adattarla ai tempi, ma evitando che i tempi la travolgano e la snaturino. La Costituzione serve la stabilità della forma di Stato e del conseguente rapporto tra cittadini e poteri, senza ingessare l’Atto fondamentale, ma nemmeno permettendo che sia stravolta la base culturale in nome non della modernità, ma del modernismo.

E dunque, nell’art. 6 CEDU si coglie perfettamente il riferimento ineludibile al modello antropologico su citato.

Ciò si deduce con facilità dalla lettera dell’art. 6, là dove richiede che “la causa sia esaminata ... pubblicamente ... La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato ... “. La pubblicità, nelle due prime affermazioni, è chiarita dall’ultima: pubblico è ciò che si realizza in una situazione fisica in cui le parti e il giudice siano presenti in una medesima aula d’udienza nella quale interagiscono tra loro e con un pubblico cui non può essere negato l’accesso.

Analogamente, l’art. 128, secondo comma c.p.c., e l’art. 87 c.p.a., nel disciplinare i poteri di polizia d’udienza del giudice, presuppongono necessariamente una udienza di persona che si svolga nell’aula. Non vi è quindi il minimo dubbio che nella cultura e coscienza dei popoli occidentali (e non solo) l’udienza è, e non può che essere, l’adunanza contemporanea e fisicamente realizzata di un giudice e delle parti

Udienza personale e telematica: differenze

Va da sé che, presupponendo una perfetta fungibilità della udienza personale con quella telematica, a cagione della trasmissione collettiva di immagini e dialoghi, anche le disposizioni normative potrebbero essere interpretate nel senso che esse attribuiscano poteri di polizia e gestione della udienza, flessibili e adattabili alla situazione tecnologica contingente.

Ma è appunto questo presupposto che manca.

Infatti, l’udienza personale e quella telematica non sono minimamente fungibili l’una con l’altra né lontanamente assimilabili funzionalmente.

In altri termini, non si può sostenere che il telematico sia solo una modalità di comunicazione e di partecipazione succedanea della fisicità della presenza, ma contenutisticamente equivalente. E’ noto che la scienza della comunicazione ha accolto da tempo la certezza che il “mezzo” (media) condizioni contenutisticamente l’informazione che trasmette, tanto che il mezzo diviene l’informazione. Ed è altresì arcinoto dagli studi di psicologia della comunicazione, che la comunicazione personale avviene principalmente tramite segni (i simboli, i codici e la lingua) che costituiscono nel loro insieme un linguaggio che può essere verbale e non verbale. Tassonomicamente si distinguono tre livelli di comunicazione. Il primo, il linguaggio verbale, si basa sulla semantica e quindi sul significato delle parole e dei simboli, il secondo, non verbale, si basa su segni di intenzione, ed è il linguaggio del corpo (posture, gestualità, espressioni facciali), il terzo è il linguaggio paraverbale, basato su segni vocali (tono, volume, velocità, ritmo, pause). Secondo gli psicologi del linguaggio [5]6 più del 90% della nostra comunicazione giornaliera è infatti non-verbale. In particolare, addirittura, da alcuni studi, emerge che solo il 7% della comunicazione è ricoperto da quella verbale quando essa si riferisce a sentimenti e atteggiamenti.7

Traendo le conclusioni, la riduzione della capacità comunicativa e la estraneità al modello antropologico corrente comportano una riduzione importante del diritto alla difesa che non è pieno nella misura in cui non è piena la comunicazione e il mezzo non è satisfattivo dell’innato bisogno di comunicazione faccia a faccia di cui si è discorso. In sintesi, una comunicazione fortemente deficitaria equivale a una non comunicazione, così come una udienza telematica a una non-udienza. Massimamente se poi (l’appetito vien mangiando) vi uniamo misure di riduzione coatta degli strumenti specifici di difesa quali la lunghezza degli atti, la durata degli interventi, delle repliche etc. che sono una tentazione quasi inevitabile in tale contesto.

Conclusioni

Riteniamo quindi che l’udienza telematica non possa trovare cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico processuale.

Per concludere, alcune riflessioni di politica giudiziaria.

Senza scadere nel complottismo, malattia genetica di un Paese, nel bene e nel male, melodrammatico come il nostro, occorre porsi la domanda se, sfruttando le circostanze della pandemia, non si sia formata una tendenza culturale a realizzare il disegno politico di depotenziare il GA, additato, a torto, come il responsabile della parte di crisi economica che ruota intorno alla spesa pubblica. Si potrebbe trattare di un disegno di democrazia autoritaria in cui la P.A. dovrebbe riprendere il ruolo decisionale unico e arbitrario della spesa pubblica senza tanti lacci e lacciuoli come il diritto di difesa, a intralciare le magnifiche sorti e progressive del business. La visione esattamente contraria a quella per cui è nato il Consiglio di Stato e per cui ha ancora un senso una giurisdizione speciale. La risoluzione della asimmetria tra il soggetto pubblico e il privato, nel rapporto autorità libertà, è stato l’obiettivo della fondazione del GA e ha richiesto più di un secolo per affermarsi compiutamente, c’è da temere che l’occasione del virus sia troppo ghiotta per i poteri forti per lasciarsela sfuggire.

Gli strumenti del depotenziamento sono vari e comparsi in alcune proposte udite sui media: il parere preventivo vincolante della Corte dei Conti pregiudiziale al ricorso, la esclusione del risarcimento in forma specifica nel rito appalti ed altri. Tra questi anche l’eliminazione della udienza di persona e della oralità, da cui siamo partiti. Anche essa condurrebbe a delegittimare come Giudice il GA, riconducendone il giudizio non al processo e alla funzione giurisdizionale, ma al procedimento amministrativo giustiziale meramente cartolare, come di fatto tenderebbe a divenire e come il ricorso amministrativo in effetti è.

7 Albert Mehrabian, Messaggi silenziosi- Una ricchezza di informazioni sulla comunicazione non verbale (linguaggio del corpo)", Auto pubblicata, 2010.

Non sottovalutiamo avvenimenti che appaiono banali e insignificanti, la cui sommatoria determina cambiamenti radicali, Viviamo in un momento di reale svolta istituzionale, incertezza, carenza di una visione del futuro. Sono i momenti storici in cui sono possibili regressioni a un passato peggiore del presente.

[1] Sandulli M. A., “Un brutto risveglio? L’oralità condizionata del processo amministrativo”, in L’Amministrativista, 1 maggio 2020, http://lamministrativista.it/articoli/focus/un-brutto-risveglio-l-oralit-condizionata-del-processo-amministrativo

[2] Sandulli M. A., “Diritto dell’emergenza e Covid-19”, in Giustizia Insieme, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19

[3] C. d. S., sez. V, ordinanze n. 2358 e 2359 del 21 aprile 2020, in www.giustizia-amministrativa.it

[4] Sentenze CEDU 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia e sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia

[5] Michael Argyle, “Il corpo e il suo linguaggio – Studio sulla comunicazione non verbale”, Zanichelli, 1993;

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(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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