PANDEMIA E POLITICA IN FUTURO

PANDEMIA E POLITICA IN FUTURO

Gli esperti epidemiologi sono ormai concordi nella convinzione che, per un periodo di tempo non prevedibile ma certo non breve, sarà inevitabile la convivenza con la pandemia e quindi con il virus COVID19.

La strategia vaccinale appare, allo stato, l’unica vincente. Sfortunatamente, essa avrà successo nel medio lungo periodo, anche in funzione della reperibilità dei vaccini e della loro efficacia, e delle varianti che si sono già presentate e si presenteranno.

Occorre quindi che la società si attrezzi con misure non più emergenziali tendenzialmente temporanee, ma a regime che concilino la tutela della salute e della vita umana, con l’ordinato dispiegarsi della società civile, nei suoi aspetti economici, relazionali, educativi, psicologici, culturali. E’ giunto il momento dell’abbandono non solo della mentalità emergenziale, ma anche e soprattutto degli strumenti giuridici emergenziali. Da oggi in poi è necessario adottare misure di lungo periodo che costituiscano la normalità della vita quotidiana.

In questa ottica il dibattito sulla compressione dei diritti e delle facoltà costituzionali diviene più rilevante ancora che nella fase emergenziale. A regime, infatti, il passaggio ad una fase di assestamento della convivenza con il COVID19 renderebbe tali misure del tutto inaccettabili.

Esse si configurerebbero come una sospensione, se non interruzione, della democrazia, a cagione del loro consolidamento. A tal proposito, infatti, giova ricordare i limiti alle misure emergenziali di compressione dei diritti che la Corte Costituzionale ha più volte ribadito a proposito delle misure di eccezione: necessità, proporzionalità, adeguatezza, bilanciamento, giustiziabilità, razionalità ma, soprattutto, temporaneità.

E’ necessario, quindi, pensare a misure comportamentali le quali, necessariamente, importino restrizioni, ma siano al contempo ispirate rigorosamente ai criteri indicati dalla Corte.

Contemporaneamente, proprio attesa la natura semi permanente di esse, e l’estensione a tutta la comunità nazionale, le stesse devono essere accompagnate da un vasto e diffuso consenso, per non rimanere grida manzoniane e raggiungere così il risultato disastroso di deprimere l’autorevolezza dello Stato e indispettire ulteriormente i cittadini già tanto duramente provati.

In particolare, occorre che si abbandoni la mentalità che, sulla scorta di una utilizzazione pretestuosa del principio di eccezione, ha condotto alla odiosa impostazione punitiva nei confronti dei cittadini, per cui le uniche misure adottate sono state quelle della compressione dei loro diritti. Non sono state attuate misure proattive, positivamente interventiste, ma solo misure occhiutamente repressive con il corollario di un imponente apparato accertativo, anche penale. Risorse ingenti e attività amministrativa, anche delle forze dell’ordine, sono state impiegate esclusivamente per reprimere comportamenti vietati, invece che essere impiegate per iniziative di affiancamento e ausilio ai cittadini nell’attuare i comportamenti virtuosi.

Per non parlare della assenza di interventi pro-attivi e positivi che invece di colpevolizzare e punire i cittadini, fortemente stressati, incidessero sui luoghi e sulle occasioni di contatto potenzialmente agevolative del contagio, ad es. sui trasporti pubblici, sulla sanificazione degli ambienti pubblici o aperti al pubblico, sulla redazione del piano pandemico e soprattutto sulla predisposizione razionale e non solo mediatica (le Primule) degli strumenti per realizzarlo, sulla acquisizione tempestiva di dispositivi personali di sicurezza, e, dulcis in fundo, di vaccini.

Il tutto è stato accompagnato da un odioso atteggiamento colpevolizzante nei confronti dei cittadini, chiamati a rispondere essi dei fallimenti nel controllo della pandemia, attribuiti pretestuosamente e maliziosamente dal Governo non alla inefficacia, non appropriatezza, tardività e sostanziale inutilità delle poche misure attive poste in campo, ma alla naturale (sic !?) predisposizione degli italiani alla violazione delle regole, alla incoscienza dei giovani, all’egoismo di vaste fasce di cittadini e così via.

Il Governo non ha mai compiuto una autocritica, atteggiandosi piuttosto, esso, a vittima per sé virtuosa di un popolo incosciente, stupido e asociale.

Il punto è particolarmente rilevante proprio perché l’assestamento a regime della situazione pandemica richiede quel consenso sociale di cui si è discorso che certo non si raggiunge con la fallimentare politica repressiva adottata fino ad oggi.

I più elementari principi di criminologia (sin dalle pagine eccelse del Beccaria) ci suggeriscono che le misure repressive e punitive non hanno una vera efficacia dissuasiva, se non quella di rafforzare il comportamento virtuoso in chi naturaliter vi è predisposto, ma non di intimidazione nei confronti del deviante per scelta, necessità o compulsione.

In particolare le misure sanzionatorie, anche se elevate e terrorizzanti, non sono sufficienti a svolgere una funzione deterrente quando poste a punizione di comportamenti comunemente accettati, in circostanze ordinari, come leciti secondo il comune sentire, l’abitudine e i valori culturali. In altri termini, dinanzi a comportamenti legislativamente vietati, ma non colti come antigiuridici in senso proprio, a cagione del fatto che il divieto sia giustificato solo da motivazioni generali e astratte di precauzione e prevenzione, sostanzialmente invisibili e intangibili (la diffusione del virus) che il cittadino comune non riesce a percepire o nei quali non ha più fiducia.

Visitare i genitori anziani nella RSA, o abbracciarsi per strada, o stringersi la mano, o andare al cinema o al ristorante all’ora che si vuole, o aprire il proprio negozio per lavorare e guadagnare da vivere etc., sono tutti comportamenti non ontologicamente sbagliati e da rifiutare, e quindi non vissuti come antisociali. Da ciò la reazione di non condivisione e poi di rifiuto che supera di gran lunga la paura della sanzione.

Perché si verifichi la deterrenza il giudizio sulla antigiuridicità del comportamento deve essere condiviso dal soggetto, anche se questi volontariamente viola la norma. Solo in tal caso, infatti, l’agente è in grado di comparare e bilanciare i costi e benefici della violazione. La deterrenza non è altro che il prevalere, nella valutazione economica delle conseguenze del comportamento, dei costi (la sanzione) rispetto ai benefici, anche psicologici oltre che materiali. Viceversa, quando l’agente non condivide la convinzione sulla necessità del divieto, finisce per viverlo come imposizione autoritaria, immotivata e persecutoria, per cui il beneficio della violazione, anche in termini di rivendicazione di un proprio diritto di libertà, supera il costo della sanzione.

A ciò si aggiunga che tali norme hanno indotto comportamenti, spesso inutilmente vessatori e repressivi da parte di alcuni soggetti appartenenti alle forze dell’ordine, veri e propri Javert del XXI secolo, investiti di una autorità mal riposta e soprattutto mal guidata e controllata dai rispettivi superiori gerarchici.

La politica criminale o comunque repressiva deve virare secondo delle linee guida che segnino un suo radicale capovolgimento nei confronti del comportamenti devianti: dalla repressione alla prevenzione e al servizio. Interventi finalizzati più a convincere, persuadere, agevolare il comportamento corretto, e solo in ultima istanza, e ove indispensabile, a punire con sanzioni proporzionate e non esemplari. La afflittività della pena non può mai essere commisurata allo scopo esemplare, ma solo alla gravità del fatto e alla personalità dell’agente.

Da queste riflessioni scaturiscono alcuni interventi a regime che, nel loro complesso, potrebbero disegnare un approccio pro attivo di medio lungo periodo, sufficientemente rispettoso del principio di adeguatezza e proporzionalità, pur nella consapevolezza della drammaticità del presente.

In primo luogo, è indispensabile, anche al fine di determinare e consolidare il consenso, risolvere una volta per tutte il problema della trasparenza, che è democrazia, pubblicando tutti i dati riguardanti la gestione e l’andamento della pandemia, in formato aperto e disaggregato, come per altro già previsto dalla legislazione vigente.

La accessibilità totale dei dati è richiesta allo scopo non solo di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa, ma soprattutto di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

Corollario di ciò deve essere l’adozione del potere sostitutivo di cui all’art. 110 della Costituzione, previsto, tra l’altro, nei casi di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Unita ad una gestione più centralizzata delle decisioni operative, tenendo conto che l’art. 117 della Costituzione, secondo comma, (rispettivamente lettera m), q), r)), prevede che spetti allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; la materia della profilassi internazionale; il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale.

Interventi sui dispositivi personali di sicurezza non possono limitarsi a disporre l’uso obbligatorio delle mascherine. Occorre, in primo luogo, che si passi alla obbligatorietà dell’uso del tipo FFP2 (l’unico che garantisce una protezione passiva e attiva) con le eccezioni già previste, ma soprattutto che si provveda ad acquisti periodi e massici per porle a diposizione gratuitamente dei cittadini, attraverso, ad es., di forniture periodiche da parte di tutti gli enti pubblici ai propri dipendenti di scorte sufficienti a coprire il fabbisogno familiare,  dispensabilità da parte del SSN, senza prescrizione medica, fornitura da parte delle medesime forze dell’ordine nelle occasioni di controlli.

A tale proposito, richiamando le osservazioni di cui sopra, modificare la politica a contrasto della devianza, abbandonando la qualificazione dei comportamenti come fatto illecito punibile, ma qualificandoli come misure necessarie all’ordine pubblico e alla pubblica incolumità, che possano essere ordinate dagli agenti dell’ordine nel caso concreto. In altre parole la giuridicità di ordini ad hoc e forme di convincimento ad es. ordinando lo scioglimento degli assembramenti o del controllo dissuasivo sull’affollamento negli esercizi pubblici, del richiamo all’uso delle mascherine con immediata disponibilità delle mascherine, gratuitamente o anche con il simbolico pagamento di un euro chi non ne fosse in possesso.

La sanzione dovrebbe quindi essere limitata alla sola fattispecie di cui all’art. 650 c.p. (inottemperanza all’ordine legittimo della autorità) nei soli casi di disubbidienza conclamata agli ordini emanati nei casi sopra segnalati.

Le misure personali di igiene e disinfezione sono sicuramente essenziali, ma relativamente sterili ove gli ambienti per sé mantengano elevati livelli di infestazione del virus.

Sarebbe quindi necessario Che sia avviata una costante azione di sanificazione degli uffici pubblici, delle scuole, dei mezzi di trasporto pubblico. Oltre ad un immediato intervento per l’adeguamento di infissi adeguati, alla costante aereazione.

Infine, sembra necessaria anche la dispensabilità da parte del SSN, dei presidi medici costituiti dalle già ricordate mascherine FFP2 e dal gel portatile disinfettante.

Gli ottimi risultato raggiunti dalla strategia dei tamponi di massa, quale strumento fi una strategia do sorveglianza attiva, necessita della realizzazione, finalmente, del piano già proposto ad agosto, per realizzare il target di 400.0000 tamponi giornalieri, per prevenire il diffondersi del virus. Ovviamente ciò implica il potenziamento, a cura dello Stato, dei ulteriori laboratori mobili.

Alla ripresa di settembre la maggior parte delle scuole non è stata in grado di ridurre il numero di alunni per classe (come avvenuto in molti paesi europei), né di garantire la misurazione della febbre, né di gestire i sospetti positivi.

Occorre quindi agire con strumenti amministrativi e organizzativi lungo due direttrici.

Nell’ottica di privilegiare la didattica in presenza occorre ampliare la disponibilità di classi, per diminuire il numero di alunni e professori per classe, utilizzando immobili demaniali non utilizzati. Assumere a tempo determinato docenti, anche richiamando, se necessario, quelli andati in pensione negli ultimi cinque anni.

Occorre correlatamente intervenire sul sistema dei trasporti moltiplicando l’offerta, come meglio si vedrà avanti.

Prevedere, come detto, la distribuzione delle mascherine e rafforzare la vigilanza anti assembramento, anche attraverso volontari 8 (il sistema dei “nonni”).

Nell’ottica della DAD, non si può prescindere da un ambizioso piano di acquisto e distribuzione di tablet o PC da fornire a tutti gli alunni che ne siano sprovvisti in famiglia e stipulare convenzioni apposite con i provider per acquisire strumenti di traffico dati.

Viceversa, la DAD si trasformerebbe a in un serio elemento di discriminazione sociale.

Tale misura costituirebbe anche un passo avanti nell’investimento per la digitalizzazione del Paese, cui gli stessi provider sono interessati.

Le misure nei confronti del SSN sarebbero molte e complesse. Tra le primarie si pone l’ampliamento dei posti di terapia intensiva.

Ma anche misure di sistema quali la modifica temporanea del corso di studi in scienze infermieristiche, prevedendo un prediploma in sei mesi di corso intensivo da integrare successivamente, e l’assunzione nel SSN a tempo, e agevolazione nella conclusioie del percorso triennale di laurea.

Sarebbe anche opportuno il richiamo in servizio dei medici collocati a riposo a seguito della anticipazione della età di pensionamento.

La nota dolente del trasporto pubblico ha subito una inspiegabile sottovalutazione da parte del governo che ah reagito con misure insufficienti e velleitarie, nei confronti di un problema, invece, che ha dimostrato la sua drammatica priorità.

Occorre in primo luogo aumentare l’offerta di mezzi, al fine di diminuirne l’affollamento, primariamente mediante l’utilizzo di mezzi e autisti delle FFAA, o di autobus privati, oggi costretti alla inattività, e comunque anche ricorrendo, se del caso, allo strumento della requisizione in uso d’urgenza (con indennizzo) ed alla assunzione a termine di conducenti, soprattutto reclutati dagli NCC rimasti senza lavoro.

L’implementazione della medicina di base costituirà un fondamentale strumento di lotta al virus nell’occasione del primo contatto del cittadino con la problematica e soprattutto nella assistenza domiciliare consentendo così di ridurre sensibilmente i ricoveri ospedalieri. L’ampliamento delle cure domiciliari passa però attraverso la dotazione per i medici dei necessari presidi personali di sicurezza. Occorrerà anche riorganizzare e implementare le unità speciali di continuità assistenziale per le cure domiciliari, coinvolgendo direttamente i medici di base dotati di adeguate protezioni. E sarà altresì necessario commissariare e esercitare il potere sostitutivo nei confronti di quelle regioni che non raggiungano in brevissimo tempo livelli predefiniti del servizio.

Infine, occorrerà affrontare la problematica dei COVID hotel, cioè a dire di luoghi convenzionati ove il contagiato possa trascorrere i periodi di quarantena o di isolamento, per abbattere drasticamente le occasioni di contagio.

Infine, interventi a parte sono necessitati dalle problematiche insorte con le case farmaceutiche titolari dei brevetti dei vaccini.

L’andamento delle cose induce a sospettare che gli atteggiamenti scorretti registrati non siano casuali e che siano inoltre destinarti a ripetersi nel tempo.

Appare ragionevole pensare che occorra predisporsi ad una soluzione autarchica del problema.

Si vuol die che, in qualche modo, il sistema industriale farmaceutico italiano deve essere messo in condizioni di produrre vaccini per il Paese. Ciò potrà avvenire grazie al vaccino Reithera, i cui tempi non sono però allo stato prevedibili con esattezza e la cui sperimentazione di fase tre non è ancora terminata.

Si apre quindi l’unica strada di produrre in proprio i vaccini oggi sotto copertura industriale.

E’ indispensabile, quindi, avviare immediatamente in primo luogo opportuni accordi con le imprese farmaceutiche per verificarne la capacità produttiva e i tempi di conversione alla stessa.

In parallelo occorre avviare opportuni contatti con le imprese titolari dei vaccini per sondare le ragionevoli opportunità compromissorie di una sub licenza a favore delle imprese italiane.

In alternativa occorre avere la determinazione di adottare le misure per la così detta licenza obbligatoria prevista dagli accordi internazionali TRIPS a tutela della proprietà intellettuale, per la salvaguardia dell’interesse pubblico come quello alla salute pubblica.

Il costo di queste auspicabili iniziative è molto elevato.

La scelta strategica nell’uso delle risorse, soprattutto quelle europee, risulterebbe inutile se esse fossero utilizzate solo per garantire ristori, contributi, assistenzialismo, anche se a settori industriali strategici o comacine rilevanti, senza che la società introno sia messa in grado di fronteggiare, essa in prima persona, la causa della crisi economica.

La ricetta di compiere generose dosi di finanziamenti pubblici a settori economici, se non a singoli imprenditori, sufficientemente grandi da far presumere un impatto non trascurabile anche sui dati macroeconomici, non sembra essere la misura vincente. Piuttosto occorre porre le condizioni perché riparta soprattutto il sistema delle micro, piccole e medie imprese, che necessita appunto di una situazione concreta più vicina possibile alla normalità, perché propedeutica alla ripresa del vivere civile e quindi della economia.

Non avrebbe senso incentivare uno qualsiasi dei settori previsti dal Piano di Resilienza lasciando inalterati gli attuali meccanismi di constato al virus che sono, per sé, del tutto disincentivanti lo sviluppo economico.

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“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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