CHI DIRIGE LA POLITICA IN ITALIA
Il nostro modello di democrazia che per comodità definiamo occidentale parte da molto lontano. Affonda le sue radici nella scienza politica greco romana, e per quanto ci riguarda è forgiato dalla esperienza dei comuni e dalle vicende risorgimentali.
E' un modello che si definisce di democrazia parlamentare perché basato su due capisaldi, la cui obliterazione fa venir meno completamente il modello stesso.
La sovranità popolare
Il primo è che la sovranità appartiene al popolo Il secondo, che il popolo la esercita in maniera rappresentativa. Tutto ciò è consacrato nell'art. 1: "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione." e negli articoli da 55 a 82 che disciplinano le funzioni del Parlamento.
Il modello base è comune a diverse Costituzioni, proprio perché esso è sostanzialmente il massimo comune denominatore delle varie forme in cui l’originario concetto greco ateniese si è declinato nella storia. Ma ovviamente le forme di Stato, assoluto o di diritto, liberale etc.; le forme di Governo, monarchia, repubblica etc.; e all’interno della forma repubblicana, la forma presidenziale, semipresidenziale, parlamentare, il cancellierato etc., sono tutte forme diverse tra loro in relazione alle esperienze storiche, culturali, giuridiche ed economiche dei diversi Paesi.
Per quanto interessa in questa sede, mi urge sottolineare che nelle varie costituzioni, e quindi anche nella nostra, il complesso principi fondamentali/forma di Stato/forma di Governo è inscindibile. La combinazione della divisione del potere tra i vari organi costituzionali è essa stessa costituiva della Costituzione, sicché cambiando, ad. es., forma di governo non si cambia un accessorio della legge fondamentale, ma si incide sull’intero assetto dell’imperium pubblico. Il che non vuol dire che un cambiamento in tal senso sarebbe anticostituzionale come lo sarebbe ad es. il mutamento della forma repubblicana, appunto l’unico espressamente vietato dall’art. 139 della Costituzione.
La costituzione materiale
Non si pensi però che l’esercizio del potere sovrano distribuito nella combinazione di organi costituzionali dalla carta fondamentale, esaurisca l’argomento. Se la Costituzione formale contiene norme attributive di competenza e sistemi di check and balance tra i vari organi, la costituzione materiale si incarica, nel decorso del tempo, di introdurre o respingere assetti di potere difformi o non regolamentati dalla Costituzione. E’ un fenomeno normale, poiché nemmeno le Costituzioni, in quanto leggi redatte dagli uomini, possono prevedere i meccanismi della multiforme realtà della società aperta, sì che la storia di uno Stato presenta spesso momenti di vuoto costituzionale o di incertezza che sono risolti dalla iniziativa di uno degli organi, con la contemporanea accettazione da parte degli altri, o con l’instaurarsi di un nuova consuetudine. In realtà la politica soffre dell’horror vacui e quindi riempie sempre in qualche modo il vuoto.
Certamente, non tutti i modi sono conformi all’impianto generale della Costituzione e dei suoi principi. Se, e quando, ciò accada spetta ai medesimi organi costituzionali adottare le misure necessarie a riportarsi nell’alveo costituzionale, sia attraverso il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale sollevato nei confronti dell’”usurpatore”, sia attraverso un’azione di moral suasion (compito specifico e precipuo del Capo dello Stato) o di simili accordi tra organi costituzionali.
Il sistema di verifica costituzionale incidentale, purtroppo, spesso rende una verifica dell’assetto materiale della divisione e dell’esercizio del potere difficile, se non impossibile.
In disparte tale problema, vorrei qui concentrarmi sull’aspetto sostanziale di una suddivisione dei poteri diversa da quella prevista dalla Costituzione cui stiamo assistendo, per rinviare ad altra sede l’approfondimento dei rimedi, che pure ci sono e che devono essere adottati.
Il disegno della Costituzione
Nella Costituzione non si rinvengono definizioni attinenti la forma di Stato e di Governo, il tipo di democrazia parlamentare adottato etc. Non si parla mai di “suddivisione ed esercizio del potere sovrano”, né di divisione dei poteri a la Montesquieu, non si citano mai i tre poteri tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario) ma si delinea un disegno assai chiaro che sicuramente si innesta nel quadro della ripartizione del potere tra più organi, ma soprattutto della individuazione di più poteri oltre quelli tradizionali, difficilmente inquadrabili nella tripartizione tradizionale. Si pensi al CSM, titolare di funzioni proprie che, in quanto incidenti direttamente sull’esercizio della giurisdizione, sembrano appartenere a questa funzione, mentre per altre funzioni sembra potersi postulare una natura amministrativa o anche non definibile tra le tradizionali. Ad esempio le funzioni di advocacy che il CSM ha acquisito in maniera autonoma e autoreferenziale con la elaborazione delle così dette “pratiche a tutela”.
Il consenso degli altri organi costituzionali perfeziona una sorta di accordo, talvolta tacito talvolta effettivamente negoziato (in altro contesto storico si pensi al “concordato giurisprudenziale” del 1929, Santi Romano-d’Amelio), Ma non è detto che una attribuzione di funzioni e poteri, quand’anche tollerata, sia conforme alla Costituzione. Anzi è più probabile che, ove non si verta in una situazione anomala di “vuoto” costituzionale necessariamente riempito, ma si assista invece ad uno spostamento di esercizio concreto del potere da un organo all’altro o anche fuori dell’assetto costituzionale, il tutto risulti fortemente anticostituzionale. Perché, giova ripeterlo, l’impianto della suddivisione del potere sovrano si regge nella sua armoniosità e nel suo equilibrio originario. Se la società cambia e le esigenze diventano diverse, allora deve cambiare anche la costituzione, ma in maniera esplicita perché il primo fondamento di una repubblica parlamentare, lo si scriveva all’inizio, è che la sovranità appartiene al popolo, e dunque è il popolo che distribuisce l’esercizio del potere che tale sovranità attua, attraverso la Costituzione. Mutamenti surrettizi degli assetti funzionali degli organi costituzionali sono eversivi e, pur non costituendo reato di attentato alla Costituzione per la mancanza della condotta violenta, sono da considerarsi comportamenti e atti illegittimi.
Il potere di cui si discorre non è rappresentato solo da elementi formali relativi a competenze giuridiche, procedure predefinite, atti tipizzati, ma anche da relazioni personali, accordi informali, elaborazione di indirizzi politici e di scenari di intervento, approfondimento di esperti e raccolta e trattamento di dati economici, sondaggi politici. Insomma, tutta quella attività informale e atipica che è propedeutica all’azione politica e quindi all’esercizio del potere sovrano.
Le funzioni del Presidente e della Presidenza del Consiglio
Per quanto concerne il Governo, l’esistenza di questa mole di attività non regolamentate, ma essenziali, è riconosciuta dalla stessa costituzione.
L’art. 95 prevede la funzione del presidente del Consiglio, dei Ministri, del Consiglio dei Ministri e della Presidenza del Consiglio.
Iniziamo da quest’ultima. L’ultimo comma dispone che la legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio. In effetti, la legge n. 400 del 1988 ha disciplinato questo organismo di rilevanza costituzionale strutturandolo come un grande ufficio prevalentemente di staff a disposizione del Presidente del Consiglio. Esso ne supporta l’attività non solo amministrativa, ma soprattutto elaborativa e decisionale. La Presidenza è suddivisa in Dipartimenti, ciascuno dei quali elabora, su indicazione del Presidente, i documenti, i piani, gli studi, gli approfondimenti, le riflessioni di cui il Presidente e il Consiglio dei Ministri si avvarranno per decidere la politica nazionale e assumere le decisioni finali. Il Costituente ha disegnato uno specifico modello di esercizio del potere esecutivo, nel quale la elaborazione della politica avviene dentro l’organo di rilevanza costituzionale con staff di altissimo livello e prestigio a disposizione del presidente. La Presidenza del Consiglio, nelle sue sfaccettature, E’ essa stessa il Presidente del Consiglio. Questo modello ha una sua logica proprio in funzione dell’esercizio di quel potere sovrano che il popolo, tramite la fiducia espressa dai suoi rappresentanti, ha affidato al Presidente nella sua forma esecutiva. La elaborazione delle politiche, quindi, deve avvenire entro quella istituzione, certamente a cura di personale di fiducia del Presidente, ma al contempo legato allo Stato da un rapporto di fiducia istituzionale, in primis, e quindi di servizio, sia pure non di ruolo, quale commìs pubblico. Ma soprattutto questa funzione di elaborazione della politica da parte dell’organo Presidenza è a supporto del Governo in un delicato rapporto che vede i commìs dello Stato studiare, approfondire, analizzare, prevedere e consigliare, ma mai sostituirsi al Presidente e al Governo nella elaborazione della politica della Nazione. Dati gli obiettivi politici, la struttura elabora gli strumenti migliori per raggiungerli.
Il Presidente del Consiglio, dal canto suo, secondo il primo comma dell’articolo, dirige la politica generale del Governo. Dirigere, è noto, è un verbo transitivo che esprime due concetti complementari ma distinti. Volgere verso una meta, avviare qualcuno in una determinata direzione. Ma anche, guidare, regolare l’andamento, in una parola: governare.
La Costituzione, quindi, affida al Presidente il compito prima di individuare la meta, la direzione cui rivolgersi, in sostanza l’obiettivo politico di grande e medio respiro, il programma di governo, poi di condurre il Governo e la Nazione verso quella meta. All’uopo il secondo comma, richiamando il concetto di Consiglio dei Ministri definito nell’art. 93, prevede la responsabilità collegiale dei ministri per gli atti del Consiglio dei ministri, l’organo costituzionale di esercizio della funzione esecutiva il quale, diretto dal presidente, ha il compito di attuare la politica nazionale.
Non esistono altri luoghi istituzionali e costituzionali ove si possa legittimamente elaborare la politica della Nazione. Ovviamente, data la libertà di pensiero, parola, studio vigente nella Costituzione, chiunque può costituire comitati, associazioni, centri studi, o anche nell’ambito di Università ed altre istituzioni, per elaborare una ipotetica politica nazionale, ma tali lavori non hanno, e non possono avere, nessuna parte formale e ufficiale nella elaborazione di tale politica, perché fuori dal circuito costituzionale della gestione del potere sovrano.
Il governo per comitati
Stiamo viceversa assistendo a quello che si può definire: il Governo per comitati.
In questa fase drammatica il Governo si avvale di quattordici commissioni tecniche, per non contare quelle innumerevoli a livello regionale.
Ma soprattutto tre sono i comitati su cui appostare l’attenzione:
- Il “gruppo di lavoro data-driven per l’emergenza Covid-19” incaricato di scegliere l’app che dovrebbe permettere il tracciamento di tutti gli spostamenti di una persona.
- La seconda per il contrasto alle notizie false (fake news) istituita presso la PCM.
- La terza, il Comitato economico sociale, istituito presso la PCM per “fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19, nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza.”
Diritto d’essere lasciato in pace
Il gruppo di lavoro data-driven sta studiando la migliore app per seguire e registrare gli spostamenti dei cittadini sul territorio. Sarà ovviamente il Governo a decidere se adottare o non questa misura. Il tracciamento alla coreana costituisce un vulnus mortale alla libertà. La riservatezza è il presupposto stesso della libertà, cioè l'impermeabilità all'ingerenza e controllo altrui. Il diritto a essere “lasciato in pace” come lo definiva il suo “inventore”. Poiché il tracciamento è strumentalmente presentato come strumento per monitorare i contagi, quindi in funzione anti pandemia, sarebbe adottato solo con DPCM senza coinvolgimento del Parlamento. Anche se l’uso fosse volontario, sarebbe assai semplice legare condizionatamente l’uso dell’app alla fruizione di determinato servizi, utilizzando il potere d’urgenza sanitario, cioè pe motivi di sanità pubblica, con il semplice DPCM. Non si tratterebbe, infatti, di imporre una prestazione personale, per fare che occorre una legge, ma di regolare alcuni servizi amministrativi, per i quali è sufficiente uno strumento di normazione secondaria specie se emergenziale. Ad esempio non si potrebbero usare i mezzi pubblici se non si fosse monitorati. Il modello è quello cinese e coreano (sud), due Paesi ben noti per il loro totale disprezzo e indifferenza delle libertà umane.
Il nuovo Minculpop
La task force per il contrasto alle notizie false sembra ricordare il Minculpop di buona memoria. Il suo compito dovrebbe essere quello di individuare e contrastare (non è detto come) le notizie false. Si tratta di un attentato molto subdolo alla libertà di stampa e di informazione. Con il pretesto della salute pubblica ai cui fini occorre che siano divulgate notizie corrette, l’iniziativa fa strame dell’art. 21 della Costituzione. Per altro, ignorando l’ampia e profonda questione filosofica su cosa sia la verità e la fondatezza di una notizia. Realizza, in sintesi, la verità di Stato e il controllo della rappresentazione della realtà. Dà in mano al Governo un’arma formidabile per decidere cosa sia la verità o la menzogna: siamo in pieno 1984 di Orwell, con la psicopolizia e la neolingua.
Il comitato megagalattico
Infine, il Comitato economico sociale ha l’incarico, in pratica, di ridefinire tutta la politica della Nazione. Sempre agganciandosi all’emergenza pandemica, i 17 esperti hanno il compito di formulare il piano per la ripresa graduale delle attività economiche e produttive nonché di individuare nuovi modelli organizzativi, relazionali e personali non solo nelle attività produttive (quindi nuove forme di lavoro etc.) ma anche in quelle sociali, vale a dire in tutte le manifestazioni della società aperta. Si tratta di uno strumento di condizionamento della economia italiana, attraverso il controllo selettivo sulla ripresa delle attività ma anche di omologazione della società affidata a 17 personaggi che nessuno ha mai votato e che sono noti solo agli addetti ai lavori.
Per altro osservo che tra questi non è presente neppure un esperto di istituzioni pubbliche e di amministrazione, con l’ovvia conseguenza che al massimo sarà stilato un libro dei sogni senza alcun aggancio alla realtà effettuale delle amministrazioni pubbliche, quibndi inattuabile.
Il compito ufficialmente attribuito al comitato dal DPCM costitutivo del comitato è quello di elaborare le misure necessarie per fronteggiare l’emergenza nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive.
Si badi, quindi, che il Comitato non ha solo il compito di studiare, ma quello più specifico di elaborare, cioè di decidere quali misure siano in concreto proponibili. Elaborare esprime una funzione più completa e compiuta che studiare e approfondire un problema. Significa infatti sviluppare un progetto rispondente al fine voluto. L’elaborazione non è una ricerca libera, ma una attività intellettuale che presuppone un fine predeterminato. L’elaborazione è parte fondamentale della scelta e decisione politica. Per questo l’attribuirla ad un comitato esterno alla funzione di direzione politica vera e propria esercitata dal Presidente attraverso la Presidenza del Consiglio, fuoriesce nei fatti e concretamente, se non formalmente, dal modello di distribuzione e di esercizio del potere politico delineato dalla Costituzione.
E massimamente per l’ampiezza degli oggetti sui cui si esercita la capacità elaborativa del Comitato.
Tra essi, infatti, vi sono quelli ovvi delle misure di contrasto alla pandemia, attività nella quale, però, esso entra necessariamente in conflitto di competenze con il comitato tecnico scientifico presso la Protezione civile. Ma anche misure per la ripresa graduale nelle attività economiche e produttive, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza. Ciò significa, sostanzialmente, che il comitato decide la politica economica della Nazione, permettendo o no la ripresa di determinate imprese o territori piuttosto che altri. E di più, il compito assegnato si estende a elaborare le misure per la ripresa graduale anche nei diversi settori delle attività sociali, individuando all’uopo nuovi modelli organizzativi e relazionali e sempre tenendo conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza. Dunque si estende a tutte le manifestazioni sociali, anche diverse da quelle economiche e produttive, e pretende di elaborare non solo nuovi modelli organizzativi, evidentemente nelle attività produttive, ma anche relazionali, termine che si riferisce alle relazioni umane tout court. Il condizionamento circa l’obiettivo del contenimento e prevenzione apre la strada a ulteriori misure restrittive delle libertà costituzionali in qualsiasi ambito della vita quotidiana. Non solo negli spostamenti, ma anche nella frequenza di locali pubblici, attraverso turni per la fruizione di spazi pubblici, limitazioni nelle riunioni sociali etc.
Un compito a trecentosessanta gradi che investe tutta la società e tutta la vita di relazione dei cittadini. Soprattutto in compito che ufficialmente si inserisce nella filiera decisionale del presidente del Consiglio.
Chi elabora e dirige la politica nazionale?
Chi, dunque, dirige la politica nazionale nei due significati sopra segnalati? Stando alle norme del DPCM, per quanto concerne il primo, sicuramente il Comitato e non il Presidente.
E’ il comitato, infatti, che, stando al DPCM, elabora il programma di governo sulla base di obiettivi che esso stesso si è dato. Quindi il comitato volge ed avvia la Nazione verso una meta che esso ha elaborato, non il Presidente del Consiglio.
Né si può uscire da questa strettoia sostenendo che la scelta finale spetti sempre e solo al Presidente e al Consiglio. Abbiamo cercato di dimostrare sopra che la fase di elaborazione della politica è essa stessa fase decisoria e non può essere delegata. Certo spetterà al Consiglio dei Ministri, ma in ultima analisi allo stesso Parlamento, la decisione sull’an e sul quomodo di certe misure, ma l’impianto, il progetto, meglio il programma di governo è etero prodotto e condiziona fino in fondo la scelta finale.
C’è da chiedersi il perché di questa scelta quanto meno impropria.
Il neo Presidente di Confindustria (vedi qui) all’atto del suo insediamento ha pronunciato un giudizio sferzante e durissimo: “Vanno benissimo i comitati degli esperti, ma la loro proliferazione dà il senso che la politica non ha capito, non sa dove andare”.
Questa interpretazione sembrerebbe confermare quanto si diceva poc’anzi circa il vero luogo ove si decide la politica del Governo. Nella assenza progettuale del Governo, nel comitato economico sociale, secondo il Presidente Bonomi.
Si tratta di un giudizio politico su cui ci asteniamo.
Quel che sembra più rilevante è sottolineare la pericolosità di forme di Governo ove la funzione dirigenziale della politica sia di fatto assunta in un luogo non costituzionale e particolarmente quando ciò avviene a favore di tecnici, per formazione tesi a garantire che le norme della loro tecnica prevalgano sulle esigenze dalla politica, che sono poi le esigenze delle persone.
Parole
Politica, dirigere, comitato, notizie false, app immuni,
TAG politica, dirigere, comitato