CHIAREZZA SULLO 'STATO DI EMERGENZA'
Molta approssimazione si registra sul concetto di “emergenza”, da cui “lo stato di emergenza”. Il termine non è definito dalla legge, ma il suo chiaro significato è quello di una circostanza imprevista, un accidente, in sostanza un momento critico determinato da una accidentale condizione di cose, che richiede un intervento immediato per evitare danni maggiori. Per definizione, quindi, essa non è uno stato continuo, ma un evento puntuale, circoscritto per sua natura nel tempo.
Emergenza e necessità
Una cosa è dunque la emergenza, una cosa è la necessità anche se urgente. Essa deriva da un bisogno insoddisfatto in maniera strutturale e duratura, che abbisogna di interventi non di contenimento immediato e temporaneo, ma a regime. In sintesi di quelle che comunemente si chiamano: riforme.
Il Governo e l’opinione pubblica confondo il concetto di emergenza con quello di necessità.
Un intervento può essere necessario, e magari anche urgente, ma non necessariamente “emergenziale”, cioè eseguito “per fronteggiare l’emergenza” sul momento, e per tamponare una situazione tanto imprevista che nei suoi confronti non esiste alcuna difesa precostituita. Ed è appunto il caso della pandemia, la quale è stata una emergenza nei primi mesi perché ha colpito a freddo strutture impreparate, ma ora è diventata una situazione assestata e duratura, grave e pericolosa senz’altro, ma non emergenziale in senso semantico e quindi giuridico.
Per fronteggiare le emergenze fu ideata la protezione civile. Creatura pensata e voluta da un grande uomo politico, Giuseppe Zamberletti, che ricoprì l’incarico di sottosegretario con delega al coordinamento della sicurezza pubblica e dei vigili del fuoco (all’epoca l’unico corpo attrezzato e preparato per affrontare situazioni di emergenza) dal 1974 al 1978. Sin dal 1978 (terremoto del Friuli) l’organizzazione Zamberletti costituì un punto fermo nella delicata materia. Con il terremoto dell’Irpinia, per il quale le difficoltà nei soccorsi furono perfino denunciate pubblicamente dal Presidente Pertini, fu chiaro che la tesi di Zamberletti circa la creazione di un “sistema di protezione civile” era vincente. Nel 1982 nasce il Dipartimento della Protezione Civile. Gli eventi del 1987 “alluvione in Valtellina”, accelerano il dibattito che sfocia finalmente nella prima legge organica sul sistema della protezione civile, disciplinato dalla legge n. 225 del 1992.
E’ importante sottolineare, per comprendere l’Attuale situazione politica e istituzionale, che il dibattito e lo scontro politico, si accentrarono in tutti quegli anni specificatamente sul soggetto cui attribuire quei poteri emergenziali, ben conosciuti dal nostro ordinamento giuridico sin dall’800, attraverso le così dette ordinanze libere (cioè emesse in ambiti non disciplinati dalla legge o in contrasto con questa) e le ordinanze contingibile e urgenti, previste da parte dei sindaci ed anche di ministri quali quello alla sanità o all’interno. La preoccupazione era, in sostanza, che attraverso lo schermo di una situazione di emergenza il Governo in carica potesse assumere poteri speciali attentando all’ordine costituzionale.
Separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa
Nello stesso periodo si faceva largo nelle teorie del diritto pubblico e costituzionale, la convinzione della necessità di separare l’indirizzo politico dalla gestione amministrativa (compiutamente espressa nel famoso art 3 del dpr 29 del 1992) e il termine di questo duplice cammino teorico fu la creazione, all’interno della legge n. 225, di un felice connubio tra la politica, rappresentata dal Governo cui spettava la dichiarazione dello stato di emergenza, e l’amministrazione, rappresentata dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile, cui solo spettava la emanazione di quelle ordinanze in deroga attraverso le quali affrontare le emergenze. L’importanza della distinzione sta nel fatto che gli atti politici sono insindacabili, e quindi potenzialmente il Governo avrebbe potuto assumere pieni poteri senza che alcuno lo contrastasse, almeno con mezzi legali, mentre l’ordinanza del Capo del Dipartimento non è che un provvedimento amministrativo, disapplicabile dal giudice penale e annullabile dal Giudice Amministrativo, con quindi molte garanzie costituzionali, giurisdizionali e democratiche.
Il codice della protezione civile e le ordinanze
Il decreto legislativo n 1 del 2018, “codice della protezione civile” sostituisce la legge n. 225, sostanzialmente rispettando l’impianto originario, ma con una innovazione inopportuna e pericolosa per quanto concerne la determinazione e distribuzione dei poteri emergenziali.
Esso prevede (art. 5), infatti, che i poteri di ordinanza in materia di protezione civile sono detenuti dal Presidente del Consiglio dei ministri (in direzione diametralmente opposta alla legge n. 225 e al dibattito che l’aveva preceduta), che però li può esercitare solo per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile attraverso le così dette ordinanze di protezione civile, a meno che nella deliberazione del Consiglio dei Ministri di dichiarazione dello stato di emergenza non sia stabilito diversamente, cioè sia attribuito direttamente al Presidente il potere di emanare, egli stesso, le ordinanze, evidentemente sotto la forma del DPCM.
Non è il caso qui di affrontare il tema della chiara incostituzionalità di questo impianto, che contrasta con quella parte della costituzione materiale che dispone la separazione tra l’indirizzo politico e l’azione amministrativa e con tutto il sistema anche tradizionale delle ordinanze libere. La riforma fu chiaramente voluta per smontare il sistema della protezione Civile depotenziando il ruolo del Dipartimento, senza tenere conto delle conseguenze costituzionali e istituzionali della operazione, che fu di puro potere.
Tornando al codice, il presupposto per la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale è che si sia verificato uno tra gli eventi che la stessa legge individua (art. 7). Con questa deliberazione, il Consiglio determina la durata e l’estensione territoriale dell’emergenza, e autorizza l'emanazione delle ordinanze di protezione civile anche in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell'Unione europea. Possono essere emanate anche dal Presidente del Consiglio se nella dichiarazione dello stato di emergenza ciò è previsto espressamente.
Occorre subito chiarire che nella dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale del 31 gennaio 2020, non è prevista la emanazione dei DPCM di protezione civile, ma espressamente si conferma che le misure necessarie devono essere adottate con le ordinanze del Capo del Dipartimento. Il quale, infatti, ha iniziato a emanarle, ma inopinatamente anche il Presidente del Consiglio non è stato con le mani in mano, ed ha iniziato ad emanare una raffica di suoi decreti (DPCM) a tutti ben noti, con i quali ha sostanzialmente inciso pesantemente sulle libertà costituzionali dei cittadini.
Illegittimità dei DPCM
Questi DPCM sonno totalmente illegittimi perché emanati senza alcun potere. Infatti, come già detto ma è opportuno ribadirlo, la deroga a favore del Presidente non è stata prevista nella dichiarazione dello stato di emergenza.
Dinanzi alle serrate critiche e accuse di violazione della Costituzione, e di patente illegittimità, finalmente il Governo ha tentato di “coprirsi le spalle” proponendo al Capo dello Stato, che lo ha inopinatamente autorizzato, e presentando in Parlamento il decreto legge 25 marzo 2020 n. 19. In questo (art. 1) si citano ad una ad una 29 tipi di disposizioni, riprendendole dai vari già emanati DPCM (le distanze, la limitazione della circolazione, la chiusura dei parchi, la sospensione delle celebrazioni religiose etc.) e poi si dispone (art. 2) che tutte queste misure possano essere adottate con DPCM (in gran parte già adottati). In sostanza, una grande sanatoria per sostenere che la giustificazione legislativa ai poteri di cui si è illegittimamente appropriato il Presidente del Consiglio, adesso c’è.
Non c’è bisogno di essere dei grandi giuristi, e comunque non voglio annoiare i lettori a lungo, per capire che mentre le ordinanze di PC sono uno strumento tecnico che contiene disposizioni operative non con valore generale e astratto, ma puntuale e concreto, i DPCM emanati dal Presidente contengono norme generali e astratte, cioè norme giuridiche come se fossero vere e proprie leggi, imponendo anche norme sanzionate penalmente.
Una cosa veramente scandalosa ed eversiva.
Ricordo, ancora una volta, che questo strano marchingegno per cui prima il Governo emana la dichiarazione dello stato di emergenza e poi un altro soggetto (che non è una figura politica, ma un dirigente di ruolo dell’Amministrazione) emana le ordinanze, era già previsto nella precedente legge sulla protezione civile (n. 225 del 1992) la quale aveva così innovato rispetto al sistema precedente (ai tempi del terremoto del Friuli, della inondazione in Valtellina etc.) in cui il potere era affidato alla politica, perché sin dalla legge 225 si voleva che un potere così invasivo non fosse affidato al Governo come organo politico, ma che invece fosse gestito da un funzionario sottoposto ai normali controlli di legittimità (Corte dei Conti, Giudice Amministrativo, giudice penale etc.).
Proprio l’esatto contrario di quanto realizzato dal Governo Conte.
La situazione attuale
Veniamo alla situazione attuale.
Il potere di ordinanza secondo il codice della PC è legato a vere situazioni di emergenza cui far fronte nell’immediatezza. A contingenze, cioè, per sé destinate a durare un tempo limitato, per far luogo a una situazione di assestamento, sia pure nel bisogno, Per questo la Corte Costituzionale ha ritenuto che questo sistema che deroga alle leggi:
- Debba espressamente essere conferito da una norma di legge;
- In ogni caso non in deroga a materie coperte da riserva di legge;
- Le deroghe non devono riguardare norme di rango costituzionale;
- Le deroghe non devono contrastare con i principi generali dell'ordinamento giuridico;
e soprattutto che
- Le deroghe devono durare per un tempo determinato o determinabile;
Ora accade che, mentre il codice della PC prevede che il sistema delle ordinanze di PC possa durare in occasione della prima dichiarazione, un massimo di un anno e possa essere prorogato una sola volta sino ad un massimo di un anno (e così durare al massimo due anni nel peggiore dei casi), rispondendo al canone della temporaneità, il decreto legge di cui ho parlato (che è quello che allo stato autorizza i DPCM) non contiene limitazioni temporali, ma richiede solo il presupposto della dichiarazione dello stato di emergenza. Quindi, per l’emanazione dei DPCM, non c’è alcun limite di durata, serve solo che lo stato di emergenza, in quanto tale cioè come riconoscimento della esistenza della pandemia, continui ad essere dichiarato, anche per lunghi anni. Questo accade perché con il decreto legge citato, il potere di ordinanza del Presidente è stato previsto come svincolato dalle norme sulla protezione civile, e quindi è autoreferenziale e si autoalimenta. In altri termini, utilizzando lo scudo legislativo del codice di PC il limite massimo è due anni, utilizzando il potere attribuito dal decreto legge, non vi è limite. Il decreto legge n.. 19 ha profondamente innovato sui meccanismi costituzionali, perché permette che il Governo, con un semplice atto amministrativo (cioè la dichiarazione dello stato di emergenza) si autoattribuisca poteri normativi in deroga e senza la fissazione previa di un termine, ma per la durata dello stato di emergenza che è esclusivamente nella sua disponibilità definire.
Basta quindi che il Governo proroghi, esso stesso senza il concorso del Parlamento, la dichiarazione dello stato di emergenza per mantenere non i poteri del codice, ma quelli di ordinanza del decreto legge.
Si sta materializzando l’incubo che aveva spinto i legislatori del 1992 a separare il potere di ordinanza dalla politica, e si prepara il terreno per una gestione autoritaria e monocratica fuori dalle aule parlamentari.
L’emergenza non esiste (giuridicamente) più
Se il presupposto di questa operazione è la esistenza della emergenza, occorre invece sottolineare con forza che la fase dell’emergenza è tecnicamente e giuridicamente conclusa.
Come si è accennato all’inizio, il bisogno di interventi necessari, e magari anche urgenti, non necessariamente è “emergenziale”, cioè “per l’emergenza”. Passato il momento del “colpo a freddo” la pandemia ora è una situazione assestata, grave e pericolosa senz’altro, ma non emergenziale in senso semantico e quindi giuridico.
Inoltre, il concetto di temporaneità elaborato dalla Corte Costituzionale non significa solo, nella maniera più banale, che lo stato di emergenza deve avere un termine di scadenza, come il latte, ma soprattutto che esso è legato alla temporaneità connaturata alle misure da adottare, le quali non possono disciplinare a regime una qualsiasi situazione, sia pure di necessità, ma si devono limitare a incidere sulle situazioni che costituiscono l’emergenza per tamponarle nell’immediato. Per le altre urgenti necessità, soccorre lo strumento legislativo ordinario, anche sotto la forma del decreto legge.
Nei fatti, quindi, una eventuale proroga è illegittima perché manca il presupposto della emergenza, rettamente intesa. Vi è quindi un travisamento dei fatti, cioè lo scambio tra fatti dannosi e urgenti, ma ordinari e continuativi, e fatti costituenti emergenze.
Quindi non è giustificato né il prolungamento dello “stato di emergenza” né conseguentemente l’utilizzazione degli strumenti eccezionali derivanti dal decreto legge n. 19 del 2020.
Sicuramente saranno necessari altre misure necessarie e urgenti (ma non emergenziali), ma per questo scopo la costituzione appronta lo strumento del decreto legge, che non è la manifestazione di volontà dell’organo politico Governo, ma il pronunciamento del popolo attraverso i suoi rappresentanti.
La situazione si presenta assai grave, non perché alcuno voglia attribuire al Governo reali intenzioni autoritarie (nessuno di noi può entrare nel foro interno del Presidente del Consiglio per leggerne le intenzioni), ma per l’assetto costituzionale che il Governo ha creato.
Il diritto costituzionale si basa anche sulla così detta “consuetudine costituzionale”, per cui atti o comportamenti dubbi o anche al limite della stessa, se adottati e tollerati (dal Capo dello Stato, dalla Corte Costituzionale, dalle magistrature, dalle istituzioni nel loro insieme etc.) divengono parte di quella “costituzione materiale” che ha la caratteristica di non essere scritta, ma ugualmente cogente.
Per questo motivo è grave che, presuntivamente in buona fede, questo Governo abbia introdotto strappi costituzionali che, se entrassero nella consuetudine e divenissero così costituzione materiale, potrebbero essere un domani utilizzati da personaggi assai meno affidabili.
Ricordo a tal proposito, che i teorici del regime fascista si facevano un vanto del fatto di avere conquistato il potere senza violare lo Statuto Albertino, il quale, purtroppo, era la tipica costituzione ottocentesca che si occupava di segnare i limiti del potere regio nei confronti del cittadino per garantirne le libertà, ma non conteneva strumenti efficaci per contrastare deviazioni autoritarie e accentratrici. E si è visto come finimmo.
Parole
Emergenza, necessità, urgenza, protezione civile, ordinanza, DPCM
TAG
Emergenza, stato di emergenza