ESSERE CONSERVATORE OGGI

ESSERE CONSERVATORE OGGI

Amava dire il giornalista e intellettuale Gustavo Selva che la sinistra ha vinto la guerra delle parole.

Due sono le tecniche di questa guerra: appropriarsi di alcune parole chiave di contenuto sicuramente positivo, quali democrazia, democratico etc., per riferirle solo a se stessi, negandoli a tutti gli altri, utilizzandole continuamente come proprio esclusivo attributo nel proprio stesso nome (Partito democratico, Magistratura Democratica, Genitori Democratici, Medici Democratici etc. etc.).

Il secondo: ridefinire il contenuto di esse, in maniera parziale e talvolta pretestuosa, affinché si diffonda e prenda il sopravvento su altri il significato voluto e soprattutto coincidente solo con le visioni, le interpretazioni e le politiche proprie, e mai con quelle degli altri.

Dalla neo lingua orwelliana, al politicamente corretto, la parola è uno strumento politico di acquisizione e rafforzamento del consenso.

Il termine conservatore non è sfuggito a questa sorte, anzi.

Interessante è confrontare sulla enciclopedia Treccani, i suoi vocabolario e vocabolario dei sinonimi e contrari, la definizione sia del verbo conservare sia dei suoi derivati, tra cui conservatore e conservatorismo. Non si tratta di una ricerca con caratteristiche scientifiche, ma illuminante nel constatare l’interpretazione dominante, espressa da uno dei maggiori luoghi di elaborazione culturale in Italia.

Conservatorismo è definito nel vocabolario come la filosofia politica di chi ha “Tendenza ad avversare o ritardare il progresso (o la trasformazione) di idee, forme e istituti politici e sociali …” e infatti i sinonimi suggeriti sono: “codinismo, immobilismo, legittimismo, tradizionalismo”. I contrari suggeriti sono: “progressismo, riformismo”.

Pessime persone, coloro che seguono il Conservatorismo, dediti a raffrenare la società nella sua naturale evoluzione opponendosi a qualsiasi progresso, quindi miglioramento.

Curiosamente, però, la voce enciclopedica dà atto che: “i conservatori avversano i progetti utopistici di società perfette e i mutamenti troppo radicali, credono nella libertà individuale e nel mercato, sono severi in tema di ordine e legalità e nutrono un particolare rispetto per la tradizione, la famiglia e la religione.”

Sembra quindi che questi conservatori siano per metà pessimi individui, e per l’altra metà prudenti politici, innamorarti della legge, brave Persone tutte famiglia, casa e Chiesa”.

Ancora più curiosamente la stessa Treccani fornisce del verbo conservare, una definizione concettualmente del tutto diversa. Mentre il Conservatore e il Conservatorismo sembrano impegnati a contenere e violentare la società, con omissioni negative: il non accettare, il non cooperare etc., finalizzate ad impedire qualcosa segnatamente il progresso, chi conserva, invece compie una azione attiva, positiva, poiché conserva, serba, custodisce, mantiene dato che egli : “Tiene una cosa in modo che duri a lungo, che non si guasti, non si sciupi, … custodisce un bene, per evitarne il consumo, la perdita o la dispersione, … anche con riferimento a sentimenti, a condizioni e qualità morali o intellettuali.”

Concludo sul punto. Le definizioni negative, assunte anche nel dibattito politico e massmediologico, sono prevalenti non ostante gli sforzi degli intellettuali conservatori di ristabilire la verità. La lotta politica accetta anche questi travisamenti pretestuosi. Il nostro assunto è, invece, che essere Conservatore significa nutrire un atteggiamento di grande rispetto e cura dei sentimenti e delle qualità morali, intellettuali, sociali politiche che hanno costituito il fondamento della cultura ed etica della propria comunità di riferimento. In una parola dei Valori costitutivi di ogni manifestazione personale, collettiva e sociale del Popolo e della Nazione cui si appartiene.

La conservazione e il rispetto di tali Valori non sono per il Conservatore solo una guida o un riferimento, ma costituiscono la base spirituale, attraverso anche le manifestazioni visibili di civiltà, del proprio essere Persona e comunità.

Il riferimento ai Valori necessita di almeno due operazioni concettuali complesse.

La prima consiste nell’estrapolare dalle declinazioni storiche, talvolta di secoli o millenni, esattamente i Valori sottostanti i quali, immutabili nel tempo, hanno attraversato la congerie storica per sostenere in ogni tempo la propria comunità nel crogiuolo degli avvenimenti. Depurare quindi le manifestazioni transeunti e storicamente superate, per giungere al nucleo fondante. Una operazione difficile complessa, che necessita di grande onestà intellettuale per non sovrapporre ai Valori gli strumenti con cui essi si sono inverati nei secoli.

La seconda, la rielaborazione dei Valori in una prospettiva del loro mantenimento in futuro.

Non si conserva una cosa, come si disse, che “duri a lungo, che non si guasti, non si sciupi” non si “custodisce un bene, per evitarne il consumo, la perdita o la dispersione” se non in una ‘prospettiva della sua utilizzazione in futuro. I Valori, se pure provengono cronologicamente dal passato, sono immanenti ad esso come lo sono al presente e al futuro, anzi la loro conservazione è funzionale ad un futuro ancora ignoto, ma che si vuole ispirato ad essi. La funzione conservatrice mira a tre risultati: la conservazione valoriale per il futuro e per i nostri figli e posteri, la manutenzione dei Valori, perché essi si inverino nel presente, la costruzione di un futuro migliore proprio alla luce di quegli stessi Valori che hanno, fino ad oggi, contribuito a costituire e creare la civiltà, la cultura, l’etica del nostro popolo.

E’ quindi un falso che il sinonimo di Conservatore sia codino, immobilista, reazionario, ché anzi il Conservatore è per la stessa predisposizione recata dallo spirito di conservazione, progressista: conserva per modificare ed evolvere, ma non senza avere una meta. Il Conservatore rifiuta la prospettiva rivoluzionaria, violenta o no, perché essa per definizione mira a ribaltare, distruggere l’assetto spirituale, politico e sociale, senza un punto di riferimento, nella convinzione che basti distruggere il passato per costruire il futuro. Il Conservatore sa che il futuro non si costruisce senza il passato, non storico ma valoriale.

In questa ricerca emergono molti aspetti valoriali che sono stati già posti in luce negli interventi su questa stessa rivista.

Brevemente vorrei accennare a tre di essi che mi paiono basilari.

In primo luogo la libertà della Persona e dei popoli.

Libertà positiva e libertà negativa da vincoli e condizionamenti. Libertà che deve assistere qualunque manifestazione spirituale e materiale della Persona, affidata alla propria coscienza guidata esattamente dai Valori di cui si parla.

Riferirsi alla libertà è però risultato di una condizione assunta come assioma, vale a dire che la Persona vive e opera necessariamente in collaborazione con i propri simili, e dunque partecipando ad associazioni aventi gli scopi più disparati, tra cui quello massimo di gestire il bene comune e risolvere i problemi comuni. Non si porrebbe il problema della libertà al di fuori di una prospettiva associativa e collaboratrice. Finché non conosce Venerdì, Robinson è assolutamente “libero di …”, anche se sicuramente non “libero da … (intemperie, fame etc.)” libertà che conquista proprio quando inizia la collaborazione con Venerdì e ne riconosce la libertà.

Libertà, quindi, implica correlazione e collaborazione con gli altri e da questui lavoro insieme emergono i Valori nella società.

I nostri Valori non esistono se prima non li scopriamo, osserva Scruton, e li possiamo scoprire solo se si lavora insieme nella società, poiché “nessun uomo è un’isola”. I valori oggi innati sono emersi nei secoli solo lavorando insieme nella società, per così dire “dal basso”, non perché siano stati imposti dall’alto, e analogamente per l’oggi e il domani i Valori di riferimento sono quelli già emersi in questa opera di collaborazione e che, attraverso la sua attualizzazione, sono confermati come Valori immutabili.

Non a caso i regimi autoritari si impadroniscono della forma associativa massima (lo Stato) e sciolgono tutte le formazioni intermedie, le smantellano perché produttrici di elaborazioni assiologiche spontanee che sfuggono al controllo autoritario.

Il Conservatore, quindi, alla luce di questi due Valori appena citati, concepisce una formazione politica nella quale lo Stato sia amico e ausiliario del cittadino, non suo cerbero controllore o peggio pedagogo ed invadente e condizionante educatore, formatore di coscienze. Uno Stato che, alla luce dei principi di libertà, intervenga con le leggi non per reprimere o condizionare, ma per aiutare e favorire lo spontaneo evolversi della società verso equilibri migliori.

E’ la prospettiva di una economia sociale di mercato, ove le norme rispettano la società aperta e i suoi meccanismi spontanei intervenendo nei punti di crisi ove l’egoismo neghi quegli stessi Valori su cui la Società aperta si fonda.

Se libertà e cooperazione sono due elementi congeneri e indivisibili in una società conservatrice, essi lo sono anche nella prospettiva internazionalista.

E’ ormai quasi una moda, all’interno di quel politicamente corretto cui si accennava, tacciare i conservatori di essere sovranisti. Termine con il quale, chi lo usa, vuole dissimulare piuttosto il nazionalismo.

Si usa il termine sovranismo in una accezione negativa, dimenticando che la sovranità, per sé, non è un male, anzi è l’espressione proprio di quella libertà che andiamo cercando “ch’è sì cara” come ci ricorda Dante. Sovranità significa essere responsabili e autori del proprio oggi e del proprio domani attraverso la libera svelta dei mezzi ritenuti più congrui per perseguire i fini ritenuti per noi più soddisfacenti.

La sovranità si esprime con aspetti e strumenti diversi, a seconda colui cui è riferita, ma primordialmente essa si riferisce al popolo.

La nostra Costituzione è chiarissima sul punto: la sovranità appartiene al popolo, e dalla sovranità popolare discende come corollario la sovranità appartenente alle formazioni sociali cui la Persona partecipa e dove esprime la sua libertà, e quindi la sua sovranità. Prima tra tutte lo Stato.

Irridere la sovranità ed equipararla ad uno spirito nazionalista (cioè di prevalenza assoluta della nazione nei confronti delle altre nazioni in una ottica egoista e prevaricatrice) significa da un lato non avere ben compreso il contenuto dei termini sovranità e nazionalismo, dall’altro negare il fondamento stesso della comunità statale, che esiste solo e in quanto il popolo ha espresso la sua sovranità nella formazione dello Stato cui presta il proprio consenso e la propria condivisione. Non si tratta di accettare la visione rigida del contratto sociale alla Rousseau, ma di accettare un meccanismo complesso, a un tempo psicologico e sociologico, nel quale la Persona e l’insieme delle Persone, riunite nel popolo, “sentono” e condividono le basi dello Stato più esattamente quei Valori comuni e quella cultura comune di cui andiamo discorrendo.

Se il rispetto della libertà delle Persone e delle loro associazioni è massimo all’interno della società nazionale, esso non può mancare nella Società delle Nazioni, sia in quella universale, sia nelle organizzazioni regionali.

Occorre sottolineare che mentre la sofranità appartiene al popolo con la caratteristica della nattribyuzione costituzionale originaria, la sovramnità delle organizzazioi inernaizoznali, UE compfesa, è solo la sommatyoria delle quote di sovranità delegate dagli Stati in base a un trattato. Questa essendo la base costituzionale dei fenomeni internazionali, ne consegue che il punto di riferimento sono gli Stati e che coloro di essi che rivendicano la propria sovranità non sono spregevolmente “sovranisti”. Essi rivendicano la propria natura originaria di organizzazione istituzionale necessaria di un popolo. Sono piuttosto “autonomisti” nel senso etimologico di colui che si dà le proprie leggi (αὐτο e νόμος). Userei quello che a mio avviso è un termine più esatto: “autarchici” se il significato originario etimologico di autarchia (αὐτο e -αρχία nel senso di comando, imperium) non fosse, nel linguaggio comune, ristretto a quello storico di autosufficienza economica.

Il Conservatore non rifiuta la unione di Stati in organismi di diritto internazionale miranti alla soluzione di problemi comuni, per essere espliciti: non contrasta la esistenza della Unione Europea, ma richiama alla sua vera natura e agli obbiettivi prefissi nella sua stessa costituzione.

Così come la Persona e il Popolo non trasferiscono la propria sovranità alla cieca, ma nel rispetto delle norme costituzionali (art. 1 cost.) allo stesso modo la cessione di sovranità da parte degli Stati deve seguire regole precise, e principalmente il risultato di una actio finum regundorum nella quale sia chiara la distribuzione delle competenze.

Non si tratta di creare un nuovo Stato, di vaga matrice imperiale, ma di regolare una unione di Stati (nella forma giuridica più efficacie) legati tra di loro per la soluzione di problemi comuni, in una ottica generalizzata di sussidiarietà. Purché la sussidiarietà non sia imposta dall’altro, ma emerga dallo stare insieme e dalla collaborazione che fa emergere i Valori. In breve, il Valore della libertà si applica anche ai popoli e i conservatori rifiutano una visione paternalista, così nella evoluzione del singolo Stato, come in quella delle formazioni multilaterali.

Del resto questo è lo schema della nostra stessa Costituzione, là dove nel regolare i rapporti tra Stato e Regioni espressamente individua le competenze esclusive di ciascuno di essi e quella residuale in capo alla istituzione più vicina ai cittadini.

Sistema imperfetto, ma nelle intenzioni rispettoso proprio del principio di libertà.

Concludo notando che per le sue stesse caratteristiche il Conservatorismo si atteggia quella filosofia politica aperta, in divenire. Intende costruire una società nazionale e internazionale tollerante, ma soprattutto libera, disponibile a mutare i meccanismi costituzionali, purché sempre nel rispetto assoluto dei Valori, anche di filosofia politica, che ci assistono da oltre duemila anni.

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“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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