IL MOSTRO DELLA BUROCRAZIA

 Linee strategiche per un nuovo rapporto tra cittadino e potere amministrativo.

 

 Un cittadino ha acquistato, circa cinquanta anni orsono, un appartamento. Di idee all’epoca moderne, ha voluto abbattere il tramezzo che separava la cucina dal soggiorno per creare un open space, e lo ha fatto senza chiedere permessi comunali, limitandosi a depositare una nuova piantina catastale senza il muro, giusto per adeguare le carte alla realtà.

Povero lui!

Dopo qualche anno ha cambiato idea, ed ha ripristinato il tramezzo, sempre senza chiedere alcun permesso e, questa volta, senza cambiare la piantina catastale. L’appartamento è ritornato così perfettamente aderente alla licenza edilizia.

Ahi lasso!

Oggi ha provato a vendere l’appartamento: apriti cielo!

Occorre prima sanare l’abuso. Ma quale abuso, si dirà, visto che la situazione attuale (con il muro) è conforme al progetto originario, anche se nel frattempo il muro è andato e venuto?

Nossignori, occorre una CILA (Comunicazione di inizio lavori asseverata) a sanatoria, in sostanza facendo finta che si devono eseguire i lavori per ripristinare il tramezzo. Ma il tramezzo già c’è! Non importa, l’abuso ci fu (anche se oggi non c’è più) e occorre sanare, naturalmente pagando € 1.200,00 di sanzione, una cifra variabile per i tecnici che predispongono il progetto per il tramezzo (?!) e si occupano delle pratiche burocratiche e perdendo così dai 3 ai 5.000 euro e circa tre mesi di tempio.

Racconto alla Campanile? Nemmeno per idea, fatti veri all’ordine del giorno.

Traiamo alcune considerazioni.

Come d’uso in queste occasioni si eleva un grido di dolore: tutta colpa della burocrazia!

Periodicamente, per ridurre quanto più possibile gli ostacoli, e i costi per le imprese, i così detti amministrative burdens, si affronta l’ennesima riforma della P. A., preceduta da innumerevoli convegni e talk show cui partecipano così detti esperti, i quali normalmente non hanno mai messo piede nel back stage di una pubblica amministrazione e non hanno mai nemmeno partecipato alla nascita e formazione delle regole burocratiche.

Le mirabolanti soluzioni partorite sono: semplificare gli adempimenti burocratici (ma no?), reingegnerizzare processi amministrativi, utilizzare in maniera sempre più massiccia gli strumenti informatici, ridurre i passaggi etc. Sono soluzioni in parte tautologiche, in parte già battute, che non toccano la sostanza e non tengono conto dell’origine del fenomeno. La conseguenza è che, sino ad oggi, tutte le così dette riforme di semplificazione sono regolarmente fallite come si evince dal fatto che il peso della burocrazia tende ad aumentare e non a diminuire. Nel racconto di cui sopra, la CILA citata è esattamente una delle misure di così detta semplificazione inventante negli anni 2000. Lo strumento di semplificazione si è rivelato uno strumento di oppressione e di complicazione.

Complimenti!

Il fallimento delle così dette riforme è causato dal fatto che esse hanno seguito una logica interna al medesimo processo burocratico e non hanno inciso sulle cause, mentre per la così detta informatizzazione, si sono limitate a convertire in digitale e in PEC i documenti cartacei e le raccomandate con ricevuta di ritorno, scambiando cioè la dematerializzazione dei documenti e degli strumenti con la vera digitalizzazione delle procedure.

Per affrontare le cause occorre prima una strategia, articolata su due punti.

1). Eliminare la burocrazia

2). Usare l’intelligenza artificiale.

1). eliminare la burocrazia

Eliminare la burocrazia. “Vasto programma” avrebbe detto de Gaulle. Ma non impossibile, basta averne la volontà.

Soprattutto la consapevolezza che crisi e burocrazia nascono dal medesimo parto di un Paese malato di statalismo.

Gli studiosi del fenomeno, tra cui Ludwig von Mises, forse il più lucido e acuto, ci ricordano che la burocrazia è necessaria e ineliminabile là dove gli uomini costituiscano una organizzazione votata al raggiungimento di obbiettivi comuni, fosse anche un circolo privato di bocce. L’organizzazione necessita di regole e la burocrazia, il burocrate, non sono altro che persone deputate a rispettare e fare rispettare le regole. E così accade per lo Stato.

Von Mises precisa anche, però, che la ipertrofia della burocrazia diviene inevitabile nel momento stesso in cui lo Stato abbandona una visione “di mercato” dei rapporti tra i consociati, ove i bisogni e gli interessi dei singoli privati trovano uno spontaneo equilibrio sotto l’egida della legge, e abbraccia viceversa una visione collettivista e interventista, in nome di bisogni non più considerati appartenenti ai singoli, ma alla collettività personalizzata, perciò definiti “pubblici”. Non ci troviamo più dinanzi ad una Società Aperta ove la persona si autodetermina liberamente, nel rapporto con altre persone che abbiano gli stessi interessi o interessi complementari, tenendo conto delle sue possibilità e aspettative e nel rispetto di norme condivise a tutela degli altri, ma in una società chiusa, ove la Collettività decide quali siano i bisogni e le aspettative “giuste” e ne concede la soddisfazione, regolandoli in nome di una entità astratta, la Collettività appunto personificata.

Diversamente dalla società di mercato, che è fondata su uno sviluppo a-teleologico, un ordine spontaneo che si realizza in un processo costante affidato alle scelte individuali, la società collettivista è interventista perché teleologica, cioè finalistica. Tende alla imposizione di un modello precostituito. Fondata sulla apodittica pubblicizzazione di determinati fini, ne assume la gestione in maniera intenzionale, e pretende di raggiungere il risultato con un metodo razional-costruttivista (von Hayek) cioè imponendo norme, leggi, regolamenti che vorrebbero cambiare la realtà. Da ciò la vocazione autoritaria, punitiva, giustizialista di un tale tipo di società che io definisco “delle tre P: prescrivere, proibire, punire”.

Lo strumento cardine per far ciò è ovviamente il burocrate, il quale diventa il vero padrone nel rapporto con i cittadini e le imprese.

Ne consegue che in un sistema economico interventista la burocrazia diventi potente e ipertrofica proprio perché si rende necessaria una sovrabbondanza di norme minute di comportamento, sia per regolare le attività dei cittadini, sia per regolare gli adempimenti degli stessi burocrati nell’applicare le regole.

Anche in questo caso gli studiosi (tra tutti Weber) sono concordi nel ritenere che la burocrazia diventi un vero potere, autoreferenziale. Essa ha il potere di assentire o dissentire alle richieste dei cittadini, interpretando la legge in un modo o nell’altro (in disparte i casi patologici di concussione o interessi privati) riaffermando così la sua insostituibilità e la sua potenza di interdizione, nei confronti sia dei cittadini, sia della Politica.

Infatti, si instaura quello che gli studiosi chiamano il rapporto di agenzia tra burocrate e politico. A questo il burocrate garantisce il raggiungimento del risultato politico e quindi la sua rielezione, al burocrate il politico garantisce il reddito, lo status, l’inamovibilità, la gestione del potere concreto.

Concludendo su un primo punto, non possiamo non accettare che per perseguire un obbiettivo realmente comune, cioè per sua natura realmente collettivo, sia necessario un minimo di apparato e di procedure burocratiche, ma la visione omnicomprensiva e dirigista della società introduce un numero sproporzionato di obbiettivi e attività che definisce, gratuitamente e senza reali motivazioni che non siano la libidine del dirigismo, pubblici, e ciò incide sulla quantità della burocrazia e a cascata sulla qualità del rapporto burocrazia/cittadino che finisce con identificarsi nel rapporto autorità/libertà.

Nessuno conosce a fondo la struttura della burocrazia, e fin dove essa si spinga, nemmeno il burocrate. Essa è sterminata, un vero nodo gordiano. Ma nessuno ha mai sciolto il nodo di Gordio, solo Alessandro, non a caso il Grande, ne è venuto a capo, con un colpo di spada.

L’apoteosi l’abbiamo raggiunta con l’invenzione negli anni 2000 dei così detti Piani di amministrazione. Una pletora di strumenti obbligatori per le PP.AA. finalizzati a prevedere e pianificare le azioni delle amministrazioni: Piano per il fabbisogni di personale (PFP); Piano delle azione concrete (PAC); Piano per la Razionalizzazione dell’utilizzo delle Dotazioni Strumentali (PRSD); Piano della Performance (PdP); Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PtPCT); Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA); Piano di Azioni Positive (PAP).

Non risulta che tutta questa attività pianificatoria abbia dato i suoi frutti. Ma niente paura. Con l’art. 6 del decreto legge n. 80/2021, “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”, si stabilisce che le amministrazioni con più di 50 dipendenti debbano riunire in unico atto pianificatorio, il neonato Piano Integrato di Attività e Amministrazione (PIAO), tutta la programmazione, finora inserita nei differenti piani sopra citati, che sono così aboliti.

Orbene, pianificare le proprie attività per non vivere alla giornata è sicuramente una buona cosa, ma il tripudio di pianificazione indotto da questa legge non può incidere sul contenuto delle azioni da pianificare, quindi, nel nostro caso, non può raggiungere gli obbiettivi proclamati dallo stesso articolo, il quale pomposamente recita: “Per … procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi … le Pubbliche amministrazioni … adottano il PIAO … etc.”

Ho voluto annoiare i miei venticinque lettori con questa descrizione noiosissima, perché ciò che ho descritto è lo specchio, il paradigma direi, della cervelloticità e della inutilità delle così dette riforme semplificatrici.

Fin, dalla astuta idea di istituire tutti quei piani dalle sigle più disparate (PFP, PAC, PRDSD PtPCT etc.), passando per il titolo del decreto legge (Misure urgenti … etc.) che si estende per ben tre righe da leggere tutte d’un fiato perché assente la punteggiatura, e per il testo dello stesso decreto di attuazione (il D.P.R. n. 81 del 2022) appare chiaro che il motto del Ministero è il gattopardesco “Se vogliamo che tutto rimanga come è, occorre che tutto cambi”. La grande innovazione, infatti, è quella di imporre alle Amministrazioni gli stessi adempimenti di prima, ma con una veste e forma nuova, più “pianificata”, ma si rimesta sempre la stressa minestra.

Rimane la follia di un ordinamento che vuole pianificare e controllare tutto, senza rinunciare a nulla e che procede di riforma in riforma senza cambiare nulla, ma solo rimischiando tutte le tessere del puzzle per poi riaggregarle in figure diverse. Sempre si rimane però, all’interno degli stessi adempimenti, della stessa logica. Il principio è, nella burocrazia, come in natura, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.

Senza contare i costi per l’erario pubblico. Si finge di ignorare che per redigere tutti quei piani e oggi il super piano PIAO megagalattico alla Fantozzi occorrono personale, mezzi, utilizzo di giorni e giorni di lavoro dedicati solo ad amministrare ed organizzare se stessi, di fallimento in fallimento, alla fine di ciascuno dei quali si partorirà l’idea di un altro piano megagalattico, e così via in eterno.

Non semplificare, ma eliminare le procedure – Liberalizzazione e deregolazione

Così non funziona e non funzionerà mai.

Dunque non semplificare, ma eliminare. Infatti, il punto di caduta del sistema, in realtà, non è come il burocrate gestisca questo potere ma il fatto stesso che egli abbia il potere.

Semplificare (qualunque cosa voglia dire questo verbo incerto) non serve a nulla, se non a mettere pannicelli caldi sulla parte malata, senza prospettive di guarigione.

Occorre eliminare, non semplificare, le procedure burocratiche e ciò si raggiunge solo invertendo la tendenza alla costruzione di una società dirigista.

Emerge così la vera causa della crisi dell’ordine economico, che non è la burocrazia in sé, ma la pubblicizzazione della società che ne costituisce il presupposto e al contempo lo scopo.

La linea strategica è quindi la liberalizzazione e la deregolazione.

I due sostantivi sollevano timori nella gente comune, quasi significhi trasformare la società in un far west privo di regole.

Il fine è tutt’altro. Riconoscendo la insostituibilità della istituzione “burocrazia” per la protezione dei veri interessi comuni ed essenziali (come la salute, l’ambiente, l’ordine pubblico, la gestione dei beni comuni propriamente detti etc.) occorre sfrondare il mastodontico apparato amministrativo invasivo nei più minuti adempimenti quotidiani, dalla libido normativa finalizzata esclusivamente al controllo sociale, alla creazione di una società alveare regolata da una ape regina, un modello sostanzialmente dittatoriale perseguito dalle ideologie totalitarie di sinistra o di destra, come il marxismo il socialismo, il fascismo, il nazismo, il peronismo, il chavismo, coincidenti nella loro filosofia politica.

Tornando al racconto iniziale, la pretesa di regolare minuziosamente l’attività edilizia dei cittadini, anche dentro le mura di casa, non ha alcun senso per gli interessi realmente comuni. Salvo casi eccezionali, non ha alcun significato per la collettività che si cambi la disposizione dei tramezzi o la posizione del bagno. Il passaggio da un permesso esplicito per realizzare tali lavori alla semplice presentazione di una DIA, o CILA o altro strumento che conduce a un silenzio assenso, non cambia la natura del rapporto autoritario. Rimane sempre il concetto che il cittadino non sia libero a casa sua, nemmeno di spostare una porta, ma sempre controllato e vigilato da un Grande Fratello.

Liberalizzare non significa licenza di fare ciò che si vuole senza regole, ma limitarsi a definire i margini di un sentiero di libertà all’interno del quale ciascuno assuma la sua responsabilità personale pagando, se del caso, di persona gli eventuali scostamenti dalla retta via.

Questa è la natura intrinseca di uno Stato di Libertà, uno Stato autenticamente Liberale.

L’individuazione dei settori e delle procedure su cui esercitare la liberalizzazione e deregolazone avviene attraverso lo strumento fondamentale dell’Analisi dell’Impatto della Regolamentazione – AIR, già introdotta in Italia dall’apposito Dipartimento degli Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio negli anni 2000. Si tratta di una analisi che coinvolge tutti i così detti stakeholder pubblici e privati ed è finalizzata ad individuare le ricadute della introduzione o abrogazione di norme, procedure, provvedimenti etc.

L’AIR permette di individuare i casi di procedure autorizzatorie che non incidano realmente sullo stakeholder “interesse comune”, e che quindi possano essere oggetto di restituzione alla libera attività di cittadini e imprese. Allo stesso tempo individuare le condizioni per un esercizio responsabile della libertà e per orientare il corretto rapporto tra le persone.

Va da sé che occorre una grande onestà intellettuale nella burocrazia e una forte volontà politica per superare le resistenze dei centri di potere amministrativo stratificatisi nel tempo.

2). Utilizzazione della intelligenza artificiale.

Le procedure che non abbiano superato positivamente il giudizio di liberalizzazione, e che quindi siano considerate insostituibili, devono continuare a svolgere la loro funzione, ma indispensabilmente sottoposte ad una radicale riforma della loro natura.

Ciò spiana la strada ad una riforma sostanziale che vede l’utilizzazione della Intelligenza Artificiale - I.A.

Questa è la vera rivoluzione in punto di utilizzazione degli strumenti informatici, che non significa solo dematerializzazione, ma creazione di un nuovo modello di burocrazia e di procedure.

                                                                  

Le procedure amministrative, ivi comprese quelle non liberalizzabili, sono finalizzate a provvedimenti amministrativi che sono in massima parte di contenuto autorizzatorio e condizionatorio/conformativo dell’attività privata, qualunque sia il nome del provvedimento: permesso, nulla osta etc., e sia pure mascherate da SCIA, DIA, CILA etc. ma sempre con contenuto autorizzatorio provvisorio, salvo controllo.

La massima parte di tali attività avviene sulla base della verifica circa la sussistenza di requisiti e parametri stabiliti dalle norme e indefettibili- La verifica della loro sussistenza e congruità è affidata alla burocrazia, che la effettua passando per step successivi di decisioni.

Nella stragrande maggioranza di casi si tratta di decisioni “binarie”, vale a dire operabili informaticamente con SI/NO, nel confronto tra il dato richiesto dalle norme e dalle regole della scienza e dell’arte e quello dichiarato dal richiedente. Ad onta di ciò che si crede comunemente, gli spazi per l’esercizio di una vera discrezionalità amministrativa si sono molto ridotti rispetto alla visione tradizionale del diritto amministrativo. Correlatamente si sono di gran lunga ampliati gli spazi della così detta discrezionalità tecnica, ciò anche dovuto all’espandersi di tecniche legislative sempre più di dettaglio nel parossismo conformativo sopra accennato. Ma ancora di più, l’espandersi della legislazione e l’affastellarsi di norme ha partorito e nutrito un tipo particolare di discrezionalità tecnica, che chiamerei “interpretativa”. Essa, come si disse, propriamente costituisce proprio il compito del burocrate, e al contempo il suo spazio di potere. Un esempio attuale per tutti. La sanatoria di un abuso edilizio riguardante i prospetti di un palazzo difformi, in sede di costruzione da quelli di progetto, ed emersi solo dopo decenni in sede di verifica della conformità urbanistica per utilizzare il super bonus 110%, secondo alcuni comuni o municipi di grandi comuni, comportano una pratica di sanatoria unica pe l’intero immobile, con il pagamento di una sola sanzione, per altri comuni o municipi della medesima città, una sanatoria sì collettiva, ma con la corresponsione di una sanzione per ciascuna unità immobiliare. Non è qui il caso di analizzare chi abbia ragione, la sconfortante conclusione, però, è che l’Italia diviene una pelle di leopardo e, soprattutto, i cittadini sono alla mercé delle opinioni personali di un burocrate (atteso che il ricorso al TAR sarebbe economicamente non conveniente).

Il panorama è perfetto per l’applicazione della I. A.

L’I.A. infatti, è in grado riconoscere il tipo di requisito o di parametro richiesto per una determinata procedura in base alla legge o alle regole dell’arte e della scienza, tra cui quella giurisprudenziale opportunamente tradotta in parametro, memorizzate nel sistema per ciascuna procedura. Quindi è in grado autonomamente di accertare, attraverso la consultazione delle apposite banche dati pubbliche, quelli in possesso del richiedente o attinenti al bene in questione, comparandoli automaticamente e autonomamente con quelli richiesti. Il risultato è un prodotto decisorio finale non influenzabile da alcuna considerazione non tecnica. Vale a dire, è esclusa qualsiasi valutazione discrezionale di convenienza o preferibilità o, nella peggiore delle ipotesi, di interesse personale.

In altre parole, con l’I.A. non si tratta di compiere gli stessi passaggi burocratici utilizzando il digitale invece che il cartaceo (il che già avviene per moltissime amministrazioni e moltissimi procedimenti amministrativi) ma di far nascere ex novo un diverso procedimento amministrativo digitale con le caratteristiche citate di anonimato, spersonalizzazione, frammentazione della sequela decisoria, semplicità dell’approccio dell’utente.

L’utilizzazione della I.A. nel sistema burocratico si realizza attraverso alcuni passaggi chiave:

  1. L’individuazione precisa dei requisiti e parametri la cui assenza o insufficienza determina il rigetto della autorizzazione o l’irrogazione della sanzione e la loro acquisizione al sistema;
  2. L’acquisizione per ciascuna procedura anche dei progetti e degli elaborati tecnici indispensabili nonché degli arresti giurisprudenziali verificatisi;
  3. La traduzione di essi a valore matematico;
  4. La accessibilità per la P.A. a tutti i requisiti e parametri posseduti dal richiedente attraverso una rete globale delle banche dati pubbliche e private consultabili automaticamente e informaticamente;
  5. L’assoluta autonomia operativa del sistema, impermeabile a qualsiasi intromissione o tentativo di influenzare la decisione binaria, in altri termini, non operabile dall’esterno.

L’I.A. sostituisce così milioni di determinazioni oggi affidate alla burocrazia “fisica” dei funzionari con i seguenti vantaggi:

  1. Completa spersonalizzazione delle procedure, condotte in maniera automatica dal sistema e senza interferenze umane;
  2. Completa anonimizzazione dei soggetti richiedenti e degli oggetti di intervento, ad evitare interferenze concussive;
  3. Semplificazione nel rapporto burocratico, poiché è richiesto solo l’inserimenti di alcuni elementi chiave in grado di identificare soggetti e oggetti (ad es. codice fiscale o partita IVA, estremi catastali etc.) mentre il sistema procede in autonomia a verificare la congruità degli ulteriori requisiti o parametri (ad es. il possesso di un titolo professionale, la edificabilità del lotto etc.);
  4. Eliminazione di migliaia di passaggi decisionali, stroncando così il fenomeno della concussione e corruzione che si annidano appunto, in tutti quei “luoghi amministrativi” ove il passaggio da un livello all’altro del “gioco” è dipendente dalla decisione del burocrate.
  5. Grandissima rapidità nella esecuzione in tempo reale.

Quale esemplificazione dei vantaggi, si consideri il sistema dei contratti pubblici.

Sin dalla fase della individuazione degli operatori economici, dell’esame dei requisiti soggettivi ed oggettivi di partecipazione, l’intelligenza artificiale è in grado di valutare in tempo reale l’ammissione dei richiedenti, E’ altresì in grado di valutare le caratteristiche dell’opera o delle forniture confrontando gli elaborati digitali di progetto con i requisiti e parametri indicati nel bando e del progetto esecutivo posto a gara, di effettuare i calcoli necessari in relazione alle offerte (soglia del massimo ribasso secondo i vari metodi matematici), scelta del prezzo migliore. Anche nel caso della scelta secondo l’offerta economicamente vantaggiosa, la definizione del vantaggio avviene quotando i possibili benefici aggiuntivi con espressioni e formule matematiche, indicate nel bando, come per altro avviene anche oggi, ma in maniera discrezionale, attraverso i criteri e sotto criteri definiti dalla Commissione di Aggiudicazione nei preliminari

Conclusioni

È evidente che ciò richiede una analisi dei singoli procedimenti, per individuare i pochi passaggi ove la discrezionalità amministrativa non può essere ridotta ad algoritmo, così come è evidente che occorre individuare meccanismi di revisione (non ancora giurisdizionale, ma amministrativa, agile e rapida) dei risultati del processo.

Il risultato però è esattamente quello che ci aspettiamo: la liberazione del cittadino da una serie infinita di adempimenti, sostituiti dalla interconnessione dei data base, la automaticizzazione del maggior numero di decisioni, la rapidità di esse in tempo reale, la purificazione del procedimento dai momenti di potenziale corruzione.

Le due direttrici strategiche esposte (liberalizzazione e uso della I.A.) sono in grado, se opportunamente declinate attraverso obbiettivi esecutivi e operativi per ciascuna procedura, di modificare radicalmente il volto della Burocrazia italiana rendendolo confacente alla tecnologia e alle necessità dell’economia attuali.

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“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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