IL TRACCIAMENTO COME RIMEDIO ALLA PANDEMIA – PROFILI COSTITUZIONALI
Esponenti del Governo, giornalisti, commentatori ormai sono stati conquistati dalla nuova misura emergenziale della App di tracciamento “Immuni”.
Dinanzi alle prime perplessità, i fautori di questo metodo di tracciamento sostengono, in primo luogo, che basta compiere una comparazione tra il diritto alla vita e quello alla riservatezza per capire che il primo è prevalente e quindi la compressione del secondo va tollerata.
La prospettiva è del tutto errata perché trascura il contenuto vero di ciò che noi chiamiamo usualmente “diritto alla riservatezza” o privacy e lo confonde con il concetto di “protezione dei dati personali”.
La riservatezza
La riservatezza, o privacy, viene alla luce del mondo giuridico negli Stati Uniti intorno al 1890, ed è fondata su una visione, tipica della società anglosassone, dell’individuo Re a casa propria come in un castello inespugnabile, che si può, anzi si deve, difendere con le armi sparando a chiunque osi superare i confini. In fondo è il “diritto ad essere lasciato in pace” (to be let alone) entro i confini del suo spazio fisico entro il quale nessuno può, letteralmente e fisicamente, “stick his nose in” “ficcare il naso”. In quella cultura, quindi, la riservatezza è più legata al diritto di proprietà come astrazione e in senso lato, che essere attributo della personalità.
Nella cultura europea nasce invece come attenzione ai pericoli discriminatori e non solo derivanti da una profilazione della persona, quindi come tutela della personalità (e della libertà) e non dello spazio vitale proprietario. Essa è stata costruita come un dispositivo “escludente” ovvero come uno strumento per allontanare lo sguardo altrui. Emerge chiaramente dal regolamento europeo del 24 maggio 2016 n. 679 abbreviato in sigla RGPD (più noto con la sigla inglese GDPR).e in quella italiana, Codice della Riservatezza, d. lvo 30 giugno 2003, n. 196, che il diritto ad essere lasciato in pace, nella cultura europea, è il diritto a impedire che altri attraverso la conoscenza dei dati personali, possano penetrare nella intimità psicologica, morale, intellettuale, nell’ibi consistam della persona, normalmente, ma non necessariamente, per trarne un vantaggio o per arrecare alla stessa un danno, ma anche per condizionarne o indirizzarne la volontà o semplicemente sfruttare le conoscenze per raggiungere un obiettivo proprio.
La protezione dei dati personali
La protezione dei dati personali è cosa diversa. Essa mette al centro la persona in riferimento ai suoi dati perché questi costituiscono un’identità. Scriveva Stefano Rodotà “noi siamo i nostri dati”. Il dato costituisce cioè un elemento intrinseco dell’individuo, perché rappresenta esternamente una sua qualità propria. Il dato è la prova di ciò che siamo, nel bene e nel male, con i pregi e i difetti, e dunque il dato, che si immedesima con la realtà provata, non è propriamente altro da me, ma me stesso.
Per tentare un paragone azzardato l’identità sta alla vita spirituale, morale e sociale della persona come la salute sta alla sua vita fisica. Attentare alla salute può condurre alla morte, attentare alla identità può condurre alla morte civile.
Ciò determina da un lato la facoltà cioè il diritto di pretendere che nessuno si appropri dei dati, quindi di tenere i dati riservati o nascosti agli altri, dall’altro la facoltà, e quindi il diritto, di averne la piena disponibilità e di verificare che essi siano conformi alla realtà. Quest’ultimo aspetto prende il nome di protezione dei dati personali e ha un diverso contenuto rispetto alla privacy. Esso agisce in relazione al dato legittimamente trattato attribuendo la facoltà della rettifica, della cancellazione (diritto all’oblio) della non diffusione etc. Ma interviene, per così dire, in un momento successivo alla tutela della riservatezza, quando cioè l’apprendimento del dato non sia più invadente e lesivo della dignità della persona, tanto che la riservatezza abbia ceduto alla conoscenza.
Orbene, la raccolta dei dati relativi ai movimenti dell’individuo sul territorio incide principalmente sulla riservatezza e cioè sulla libertà della persona, ma il risultato della raccolta non è indifferente al fine di giudicare l’invasività della raccolta stessa, come poi vedremo.
Fondamento costituzionale della riservatezza.
La nostra Costituzione non cita espressamente il diritto alla riservatezza tra le posizioni giuridiche soggettive esplicitamente tutelate a livello costituzionale. Da ciò l’ampio dibattito se il diritto alla riservatezza goda di una protezione costituzionale e, in caso positivo, in base a quale articolo della Costituzione.
Seguendo la impostazione condivisa dalla maggior parte della dottrina, e dalla giurisprudenza costituzionale, riteniamo che il fondamento sia da rinvenire negli articoli 2 e 3 della Costituzione. L’art. 2 recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, …”. L’art. 3 secondo comma ci dice: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli … che, limitando di fatto la libertà … dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …”
Gli articoli 2 e 3 attribuiscono alla Costituzione il suo tipico carattere fondamentalmente personalistico che si risolve in una maggiore considerazione e dignità dei diritti della personalità umana, rispetto ad altri interessi, normalmente materiali, che pur ricevono tutela costituzionale.
La Costituzione introietta il concetto filosofico basico di “persona” derivandolo direttamente dalle radici culturali classiche e cristiane, cioè di un essere dotato di autocoscienza e di propria identità e dignità. Non ostante sia manifestazione di una base filosofica individualista, il concetto di persona è fortemente connotato di un valore relazionale e sociale e non è scevro dalla consapevolezza della esistenza di necessità fisico corporee. In questa luce i bisogni materiali dell’uomo sono interpretati principalmente, dalla Costituzione, non come fini in sé, ma come strumentali alla realizzazione fisica e morale della persona come tale nella sua totalità. Tale significato è desujmibile dall’art. 3, là dove si ingiunge allo Stato di eliminare “Gli ostacoli di ordine economico e sociale” cioè tipicamente materiali, ma sempre al fine di garantire “il pieno sviluppo della persona umana” che è concetto spirituale e non materiale.
Le libertà e i diritti enunciati negli articoli seguenti (di parola, di circolazione etc.) non sono quindi che declinazioni dell’unica libertà enunciata dal Costituente alla luce della elaborazione culturale e sociale del tempo, ma suscettibile, come vedremo di ampliamento (mai riduzione!) flessibile. Declinazioni che garantiscono singole libertà come parti strumentali della libertà generale.
Il dibattito sulla valenza dell’art. 2 a sostenere la costituzionalizzazione della riservatezza si sposta sul carattere che si voglia dare a tale norma. A nostro avviso essa ha un carattere generale e aperto, dimostrato dall’uso dell’aggettivo “inviolabili” riferito ai diritti che la Costituzione riconosce, in luogo dell’aggettivo “naturali”. Nella Costituente pure fu ampio il dibattito nella scelta dell’uno o dell’altro aggettivo, la decisione a favore di “inviolabili” tendeva a sganciare il diritto riconosciuto dalla Costituzione da una visione giusnaturalistica per rendere il giudizio costituzionale più flessibile e più aderente ad una visione evoluzionista del diritto. Se si adotta questa interpretazione, quindi, l’elencazione che segue negli altri articoli delle diverse libertà e diritti, non è che una declinazione del concetto fondamentale di tutela della personalità (quindi della libertà della persona) e non, come invece pretenderebbero gli avversari di questa tesi, un elenco di libertà e diritti con valore tassativo e avulsi l’uno dall’altro.
In altri termini, l’art. 2 così interpretato permette di costituzionalizzare, secondo il giudizio sensibile affidato in ultima analisi alla Corte Costituzionale, quelle posizioni giuridiche soggettive che la società aperta, storicamente, fa assurgere via via appunto a diritto inviolabile.
Inviolabile, in questa visione, è dunque quel diritto che si pone al vertice della gerarchia costituzionale tanto che non sarebbe neppure possibile oggetto di una revisione della Costituzione. Esso è intoccabile da chiunque.
Tutela della personalità
Ciò che discende da questa visione e rileva ai nostri attuali fini è che la tutela della personalità si risolve nel riconoscimento apriori della libertà generale e nella sua tutela.
La tutela della personalità può avvenire in due modi. Uno di natura positiva, costituito dall’intervento dello Stato per eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana (art. 3), altro di natura negativa che si sostanzia nell’impedire agli altri soggetti privati o pubblici di interferire nelle manifestazioni della personalità dell’individuo, attraverso lo strumento giuridico del diritto assoluto, vale a dire della pretesa che gli altri si astengano da determinati atti. L’attribuzione del diritto, tuttavia, altro non è che il riconoscimento di una situazione sottostante che è essa legittimante le pretese costituzionali, sia che si tratti di quelle partitamente prese in considerazione dalla Costituzione, sia di quelle che scaturiscono dalla interpretazione evolutiva alla luce dei mutamenti storici e sociali. La situazione legittimante non è altro che lo stato di libertà generale e assoluto di cui gode la Persona. Per questa via, in realtà, la visione giusnaturalistica e quella storicistica dei diritti costituzionali si ricompongono nell’unico oggetto di tutela: la Persona.
Si può anche concedere che il primo strumento, quello attivo, garantisca la “liberta da” e il secondo la “libertà di”, come insegnano alcune dottrine, ma ciò che rileva è riconoscere la catena fondamentale dei diritti costituzionali che è: persona e sua tutela, libertà, riconoscimento di una pretesa cioè di un diritto inviolabile, enunciazione delle libertà e quindi dei diritti costituzionali. I termini libertà costituzionale e diritto costituzionale, quindi, non sono che la conseguenza del fondamento ontologico del diritto (la libertà della persona) e della strumento giuridico per attuarla.
La riservatezza, quindi, attiene alla sfera della persona e diviene così un diritto assoluto della personalità, trovando protezione negli artt. 2 e 3 citati. Ciò che però rileva particolarmente è che in conclusione la riservatezza costituisce una parte qualificante della persona, e poiché l’attributo fondamentale della persona è la libertà, la riservatezza è essa stessa una parte della più ampia libertà generale dell’individuo, alla stessa stregua dei diritti fondamentali, alla vita, di parola, di movimento, alla salute etc.
Comparazione tra diritti e libertà costituzionali
La comparazione invocata dai fautori del sistema della App per dimostrare la prevalenza del diritto alla salute, non avviene quindi tra un diritto costituzionale assoluto, alla vita e integrità fisica, e una posizione giuridica soggettiva secondaria, cioè l’interesse a essere lasciato in pace, ma tra due diritti costituzionali entrambi assoluti, manifestazioni entrambi, sotto diversi punti di vista, della centralità della persona umana e della sua libertà, e perciò stesso entrambi inviolabili.
Non è possibile comparare alcuni diritti fondamentali della persona con altri altrettanto fondamentali, per lo stesso motivo per cui la persona umana è una e unitaria e la sua dignità e la sua ontologica essenza è data dalla commistione di più facoltà. Tra i diritti fondamentali assoluti, inviolabili e irrinunciabili, vi è la vita ma anche la libertà. Nessuno dei due è compromettibile o parzialmente limitabile: o si è vivi o morti, o liberi o schiavi, nessuna via di mezzo. Nessuno di essi può cedere dinanzi ad altri interessi se non facendo cedere l’intera dignità della persona.
Vita e libertà sono congeneri perché l’uomo fu creato libero e perché l’unica creatura veramente libera in quanto capace di autodeterminazione e identità (vedi sopra) è l’uomo. Ogni persona umana, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla sua dignità. Così la libertà non può aversi se non vi è la vita, ma la vita, senza la libertà, è solo un fatto biologico. “Libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, ci dice Dante, nel I canto del Purgatorio, giustificando addirittura (lui, cattolico!) il suicidio di Catone dinanzi alla prospettiva di perdere la libertà.
Giudizio comparativo
Un giudizio comparativo tra diritti inviolabili non è quindi nemmeno astrattamente possibile. Riteniamo noi che ciò non sia possibile perché per definizione i due diritti asseritamente in conflitto non possono non coesistere e trovare soddisfazione a un tempo, giacché in caso contrario verrebbe meno l’unità della persona stessa.
A nostro avviso ciò che talvolta anche la Corte Costituzionale ha definito un paragone e quindi una sorta di graduatoria tra diritti in conflitto è frutto di un errore di prospettiva sui termini del paragone stesso.
Non è possibile un paragone, che si risolve poi in una sorta di graduatoria, tra due o più diritti inviolabili considerati in sé, perché si è detto tutti concorrono allo steso modo alla qualificazione della persona umana.
Si possono paragonare, invece, situazioni analoghe che si situino nel medesimo stato. Non quindi nello stadio della definizione generale ontologica, ma con riferimento alla fase esecutiva, e dunque comparando le conseguenze che su tali diritti hanno le misure ipotizzate per soddisfare uno di essi. In effetti, è astrattamente ipotizzabile che una misura attiva pensata per soddisfare il diritto alla salute determini conseguenze dannose dirette su il soddisfacimento del diritto alla riservatezza e quindi sulla libertà della persona. La conseguenza non può che essere il rifiuto della misura attiva e la sua sostituzione con altra misura non invasiva. C’è sempre una alternativa, occorre trovarla E anche se essa fosse meno efficiente ed efficacie della soluzione incostituzionale, l’analisi dei costi e benefici penderebbe comunque da questa parte atteso l’elevato peso specifico dei diritti costituzionali.
E’ questa la strada da battere quando si rilevi un conflitto insanabile di tale genere ed è la stessa che ci addita la Costituzione, e proprio nella materia che ci interessa. All’art. 32, secondo comma, infatti, essa recita: “2. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Il Costituente non si è neppure preoccupato che fosse accertato preliminarmente se il trattamento sanitario fosse utile o addirittura necessario per il paziente o per altre persone (come ha fatto invece nell’art. 16 ove ha rinviato la compressione del diritto alla libera circolazione al provvedimento amministrativo a tutela della salute pubblica, e quindi alla sua motivazione,), lo ha escluso recisamente e senza appello per il solo fatto che essendo rifiutato da chi dovrebbe subirlo, ma anche ne trarrebbe benefici, la sua imposizione violerebbe la sua libertà. E la seconda parte dell’articolo, nel richiamare i limiti imposti dalla persona umana, rafforza l’assunto. Dato che tra tali limiti, come dimostrato precedentemente, sono appunto quelli del rispetto della libertà assoluta della persona.
Resta quindi per noi acclarato che una misura attuativa di un diritto inviolabile non può mai costituire vulnus per un altro diritto inviolabile, imponendo al Legislatore una scelta diversa nelle misure da adottare.
La lesività della misura del tracciamento
Il problema, a questo punto, si sposta sull’accertamento della effettiva lesività del tracciamento degli spostamenti sul diritto di libertà dei cittadini.
Giova premettere che il sistema ipotizzato costituisce, sia pure indirettamente, un trattamento sanitario. Esso si colloca infatti in quel momento iniziale dell’atto medico che è costituito dalla apprensione dei dati al fine diagnostico. Una App di tracciamento, dovrebbe registrare anamnesticamente il passato del cittadino non infetto per cogliere gli eventuali contatti con il paziente infetto sia pure attraverso la registrazione degli spostamenti di quest’ultimo rispetto al primo. L’appartenenza alla categoria dell’atto medico è dimostrata anche dal fatto che, rilevata la potenziale trasmissione del virus, anche il cittadino “rilevato” sarà chiamato alla verifica e sottoposto ad atti medici. Ne consegue che si profila una violazione, a danno del cittadino intercettato, anche dell’art. 32 secondo comma almeno ove l’uso della App sia disposto obbligatoriamente, mentre scenario del tutto diverso occorre ipotizzare nel caso in cui l’uso dell’App sia del tutto volontario, ma libero, cioè senza condizionamenti o restrizioni.
Con condizioni o restrizioni intendiamo riferirci alle ipotesi di riduzione dell’utilizzazione di servizi pubblici, anche se gestiti da privati come i trasporti, che potrebbero essere disposti con legge o anche con decisioni unilaterali dei gestori privati. Si tratterebbe, all’evidenza, di vere e proprie estorsioni per la punizione delle quali non è necessario scomodare la Costituzione: basta affidarsi all’art. 610 c.p. (violenza privata).
Il contenuto delle registrazioni di una App di tracciamento è costituito da tutti gli spostamenti di una persona sul territorio. La registrazione, se da un lato non impedisce i movimenti evitando così la violazione diretta dell’art. 16 della Cost., dall’altro li condiziona e rende la persona dipendente dal controllore e non libera nelle sue scelte. Ma soprattutto la sua ingerenza nella sfera di libertà e tutela dalla riservatezza è evidente. Non solo secondo un giudizio di buon senso che non è nemmeno il caso di spiegare tanto è lapalissiano, ma soprattutto perché incorre nella lesione del diritto a non essere profilato. La tutela della identità, come si disse poc’anzi, risposa anche nel diritto all’oblio, cioè a tenere del tutto nascosta la propria identità.
La capacità profilativa dei dati relativi ai movimenti è invece grande e pervadente.
In primo luogo la interazione tra i telefonini permette di conoscere i movimenti reciproci dei cittadini, quindi permette di sapere con chi, dove e quando un soggetto si sia incontrato con altro, per quanto tempo e in quali circostanze di fatto, e tutto ciò a prescindere dalla situazione di infetto e dalla potenzialità di trasmettere il virus. La interazione, infatti, si determina con tutti gli altri cittadini che si avvicinino alla portata del Bluetooth, sani, malati, portatori o immuni che siano, profilando una rete sociale più che una catena pandemica. Ciò permette, ad esempio, di sapere se i soggetti frequentano luoghi di culto o partiti politici, o associazioni, da soli o con altri soggetti, e quindi quali siano le loro credenze religiose e le loro idee politiche. Permette di misurare la frequenza degli incontri tra le stesse persone e quindi verificare le connessioni amicali o di affari, ma anche politiche tra esse. Se hanno una relazione e di quale genere, profilando le tendenze sessuali. Quali siano i loro interlocutori in affari, con quali tipi di negozi, agenzie, società uffici abbiano o abbiano avuto relazioni, desumendo il tipo di attività in cui sono impegnati e quindi i loro interessi e bisogni. Insomma, l’App corrisponde ad un vero e proprio pedinamento spinto nelle più segrete stanze, dove al dato visivo si sostituisce il dato conoscitivo dell’ambiente e del contesto oltre che quello della copresenza di altre persone. In aggiunta fornisce una serie di dati sensibili e sensibilissimi.
Non sembra siano necessari ulteriori argomentazioni per dimostrare l’elevatissimo grado di pervasività e quindi di lesione al diritto di libertà rappresentato dalla riservatezza.
Asimmetria nella comparazione
Ciò che ci preme sottolineare è l’asimmetria della situazioni in cui si trovano, in questo ipotetico esame comparativo delle misure concrete, come si è sopra annunciato, il diritto alla salute e il diritto di libertà e alla riservatezza.
I risultati positivi della misura a tutela del diritto alla salute sono meramente ipotetici. Essa si basa su una ipotesi statistico epidemiologica secondo la quale in tal modo sarebbe possibile individuare i contatti avuti da un soggetto rivelatosi infetto, per intercettarli tutti o il massimo possibile, porli in quarantena ed evitare così l’effetto moltiplicatore. E’ necessario riflettere sul fatto che nella teoria l’ipotesi è accettabile, ma nella pratica essa è soggetta a complicazioni tali da metterne in dubbio l’efficienza.
Né esperienze di altri Paesi possono ragionevolmente aiutare perché manca qualsiasi prova a riscontro, anche della tesi contraria. Anzi, nella comunità scientifica esistono posizioni discordanti ed altre molto dubbiose. Ad es. una ricerca dell’Ada Lovelace Institute (consultabile qui) dimostra che non vi sono evidenze scientifiche né prove certe che il sistema di tracciamento dia risultati positivi nel contenimento della pandemia. Il Regno del Belgio, sempre ad es., ha rinunciato a priori alla misura.
Le dichiarazioni di Jason Bay, capo del progetto Trace Together, l’App. di Singapore (consultabile qui) sono a tal fine eloquenti. Il rapporto conclude affermando espressamente che il tracciamento non è la panacea per controllare la pandemia e più esattamente: “Se mi si chiede se un qualsiasi sistema di tracciamento dei contatti tramite Bluetooth, già implementato o in fase di sviluppo, in qualsiasi parte del mondo, è pronto a sostituire il tracciamento manuale dei contatti, dirò senza riserve che la risposta è: No.”.
Dal rapporto citato e dalle dichiarazioni di Jason Bay ciò che si evince è che quei paesi che hanno introdotto una App di contact tracing contano molto di più su altri strumenti, ad esempio la distribuzione capillare dei dispositivi di protezione con App che segnalano dove comprarli, la produzione massiva di test diagnostici e strutture per eseguirli, la realizzazione di chioschi su strada per i test veloci, ecc.
In altri termini l’ipotesi scientifica del funzionamento del sistema desunta dalle esperienze cinesi e coreane e di Singapore non è né certa né scriminante, né sicuramente può esser falsificata tramite esperimento e come tale non ha il grado di attendibilità oggi richiesto dalla ricerca scientifica e dalla epistemologia. La effettiva validità a favore del diritto alla salute è quindi ipotetica, probabile, ma non certa, fortemente messa in dubbio perfino da chi la usa.
Per quanto poi concerne in particolare Cina e Corea del sud, il contact tracing, si è inserito in un tessuto sociale e giuridico autoritario e ignaro dei diritti costituzionali come intesi in occidente, con una densità di video camere (Cina) la più alta al mondo, con procedure di profilazione a fini di pubblica sicurezza già in atto da tempo con strumenti pervasivi, insomma in un quadro non lontanamente paragonabile a quello occidentale, dove l’occasioniei della pandemia è stata colta anche per completare il quadro di controllo politico e sociale.
Non vogliamo in questa sede prendere posizione sulla utilità o no del tracciamento tramite App, proprio perché in realtà la questione da un punto di vista scientifico ed epistemologico non è affatto risolta, e certo noi non abbiamo le competenze scientifiche per risolverla. Ma proprio il fatto che non vi sia concordia scientifica sui risultati di tale tracciamento, ci impone di compiere una analisi economica delle situazioni giuridiche soggettive in gioco, nel senso di valutare i costi e benefici per gli interessi soddisfatti o danneggiati.
Giudicare la app. Immuni
Il primo parametro di giudizio riguarda la utilità della App la quale, come si è appena precisato, non è certa, ma ipotetica. Viceversa, la lesione della libertà operata dal meccanismo è certa, concreta, attuale e immediata, in re ipsa come si è dimostrato. Le conseguenze delle due misure, quindi, sono asimmetriche e rispetto al parametro di giudizio l’una registra una mera ipotesi di vantaggio, l’altro una certezza di danno. Il che pare sufficiente ad operare una scelta verso la esclusione dell’uso. Per rimanere nel campo della medicina, è noto che per curare una malattia gravissima, anche potenzialmente esiziale, non si somministra mai un farmaco di cui si conoscono con certezza gli effetti dannosi collaterali se non si ha la certezza (in termini popperiani, cioè margini di probabilità elevatissimi scientificamente accertati) che esso risolva la malattia. Altrimenti si chiama experimentum in corpore vili, non terapia
Le ragioni politico istituzionali della difesa della riservatezza.
L’origine del diritto alla riservatezza, si è detto, riposa nella avversione verso il fenomeno della così detta profilazione, cioè la creazione del profilo, meglio la descrizione quanto più completa possibile, della personalità di un individuo desunta da quelle che abbiamo chiamato le prove di ciò che siamo: i dati.
La massima preoccupazione della dottrina liberale dinanzi al fenomeno della raccolta dei dati è sempre stata quella di evitare il corto circuito tra autorità e dato. Quindi, anche ove la sicurezza dei dati raccolti fosse al 100% nei confronti degli estranei al sistema, e la disponibilità dei dati fosse con certezza solo in mano allo Stato o alla Autorità, ciò non risolverebbe la violazione della libertà, anzi la aggraverebbe per la natura stessa del soggetto che ne ha la disponibilità. Il vero pericolo per le nostre libertà, infatti, risiede proprio nella combinazione tra informazione e potere, che può condurre allo sfruttamento da parte del Potere Costituito dei nostri dati. E’ paradossale, politicamente non corretto e controintuitivo, ma in realtà si può affermare che è meno pericoloso il furto e l’utilizzazione illecita di dati da parte di società private che il possesso degli stessi in capo allo Stato. I privati, infatti, possono incidere fortemente sulle persone attraverso la profilazione o anche il condizionamento fino ad un vero e proprio indottrinamento a fini economici, e possono sfruttare commercialmente ed economicamente i dati stessi, ma poiché le informazioni non sono collegate in quel caso al potere, la loro capacità di incidere sulle libertà attraversa sempre il filtro della consapevolezza e della valutazione della persona, per quanto scemata o disattenta possa essere. La combinazione, invece, tra dato, cioè informazione, e potere, cioè capacità di incidere autoritariamente e esecutoriamente sulle posizioni giuridiche soggettive e la libertà delle persone tramite la legge o gli atti amministrativi, è devastante perché attribuisce allo Stato nei confronti della persona un potere effettivo e incontrollabile, perfettamente a conoscenza dei lati deboli della persona che diviene come trasparente. Questa constatazione, ormai risalente nella dottrina e negli studi sulla riservatezza, punto fermo nell’insegnamento di Rodotà, è ciò che si trova alla base di tutta la normativa sulla privacy, la quale proprio perciò, come si è detto, non attiene ad un nuovo diritto, ma è parte della libertà in quanto tale, protetta appunto dalla Costituzione soprattutto nei confronti del Potere.
Ed è proprio questa la funzione della Costituzione. Le Costituzioni nascono con il fine di consolidare l’esistenza di una struttura collettiva che chiamiamo Stato e, nello stesso tempo, definire i confini esatti tra autorità e libertà e le procedure e i contenuti che impediscano allo Stato di trasformarsi da servitore dei cittadini in padrone: il Leviatano la cui autorità è pari alla porzione di libertà individuale che ognuno gli delega rinunziando, per vivere in pace nella società, ad esercitare i corrispondenti diritti. Ogni rinuncia ulteriore moltiplica esponenzialmente il potere del Leviatano, rompendo l’equilibrio costituzionale e aprendo a conseguenze avventurose.
La voce del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB)
Queste preoccupazioni, per altro, costituiscono il nucleo delle precisazioni esternate dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB) nelle sue linee guida (consultabili in inglese qui).
La filosofia introdotta dall’EDPB sembra aderire ad un modello più pragmatico che teoretico, ma in realtà costituisce uno sforzo, ben riuscito, di trovare quella soluzione alternativa anche in punto di teoria che, come si diceva, è necessaria una volta appurata la impossibilità di comparare i diritti inviolabili in sé.
L’EDPB formula una serie di raccomandazioni che si situano in una posizione intermedia tra la tutela della riservatezza e la tutela dei dati personali. I garanti prendono le mosse da una certezza teorica che non è neppure posta in discussione, cioè che l’uso dei dati e della tecnologia debba essere un aiuto per rafforzare il controllo da parte dei cittadini, non dello Stato e dunque che non debba essere una misura di sorveglianza, repressione, stigmatizzazione. Infatti le tecnologie basate sui Big Data non sono neutrali e replicano forme di discriminazione già esistenti amplificandole. L’esperienza di altri Stati insegna. In Corea del Sud, che pure si dice avere raggiunto ottimi risultati, si è creata una vera e propri gogna pubblica (che ricorda gli untori manzoniani) tanto che è dovuta intervenire la Commissione Nazionale per i Diritti Umani (vedi qui in coreano utilizzando il traduttore Google)
Propongono quindi una analisi dei dati potenzialmente raccoglibili con le App in questione, e individuano prima di tutto i dati che sia lecito, in astratto, raccogliere e quindi le procedure migliori per raccoglierli, conservarli e utilizzarli.
In tal modo essi escludono che si possa verificare un contrasto tra il diritto inviolabile alla salute e la inviolabile libertà della persona, perché riducono il compito della App ad una attività neutra se condotta all’interno dei binari segnati, irrimediabilmente illecita se debordante. Nessuna comparazione o graduazione, ma solo la riduzione di una attività sicuramente illecita nella sua innocuità.
Avanza quindi delle raccomandazioni che sono vere e proprie regole inderogabili.
Limitatamente allo scenario che richiede di creare modelli di diffusione del contagio, che quindi restituisce come dato la geo localizzazione dei contatti e dei movimenti, si realizzi la reale anonimizzazione del dato, cioè la sua raccolta priva di riferimenti a persona fisica e il suo trattamento in un data set come dato pseudonimo.
Viceversa, ove lo scenario sia quello di contact tracing, cioè di vera e propria analisi dei contatti umani, raccomanda che l’unico dato trattato sia quello di contatto, cioè quello che registra che due telefoni (cioè due persone) si sono avvicinati a meno di un metro l’uno dall’altro, grazie al Bluetooth low intensity.
Il sistema è stato così completamente modificato nella sua stessa essenza. Non è più una App di tracciamento della popolazione, ma una App di annotazione di contatti. Non è solo una questione semantica, ovviamente, ma sostanziale, per cui sarebbe, tra l’altro, necessario che anche usualmente e giornalisticamente non fosse più indicata con il nome fuorviante di Sistema di Tracciamento” ma di Registrazione di Contatti. Denominazione, per altro, che è la medesima utilizzata in sede internazionale (contact tracing) ma che surrettiziamente è stata modificata nel linguaggio giornalistico e della politica.
Ancora, l’EDPB richiede inderogabilmente che l’applicazione sia totalmente volontaria e libera. Libera vuol dire che dalla scelta di non utilizzarla non devono scaturire limitazioni, conseguenze negative, stigmatizzazioni etc. Come invece avviene in Cina ove il rifiuto è reato, e come qualcuno ha proposto anche in Italia ad esempio per l’utilizzazione dei servizi pubblici di trasporto. In tal caso, infatti, da una semplice Registrazione di Contatti si passerebbe a un sistema profilatorio e discriminatorio.
Ancora richiede il Board dei Garanti che i dati siano conservati in maniera decentrata, cioè sull’apparecchio del soggetto (telefonino) come richiesto anche dal Parlamento Europeo al par. 52 della risoluzione del 17 aprile 2020 (vedi qui). Questa richiesta rafforza il mutamento genetico della App, poiché in tal modo essa è finalizzata non a raccogliere dati per l’Autorità sanitaria o di pubblica sicurezza, ma a fungere da annotazione personale dell’utilizzatore.
Questa misura è inoltre fondamentale perché evita la concentrazione dei dati in un unico data base con i rischi del caso.
La differenza tra sistema accentrato e decentrato sta nel fatto che i dati raccolti, cioè gli ID dei telefonini viciniori con i quali si sia venuti in contatto via Bluetooth e la data ed ora, possono essere conservati solo nella memoria del proprio telefonino, oppure riversati in un grande data set. La prima soluzione, decentrata, richiesta dal DEPB, dal Garante italiano e dal Parlamento Europeo, oltre che dalla maggioranza degli esperti, circoscrive il dato, fisicamente, al solo hardware del soggetto, mentre nella soluzione accentrata il dato dovrebbe essere trasmesso via Internet al centro innescando i problemi di sicurezza immaginabili.
Infatti, è un fatto notorio che tutte le banche dati collegate ad internet possono colloquiare tra di loro e che tutte le misure di sicurezza all’uopo ipotizzabili sono allo stesso modo hakerabili e tutte le differenze di linguaggio e di sistema sono superabili. E’ solo una questione di costi, ma l’apprensione dei dati ricavabili dalla App ha un valore economico e politico tale da giustificare anche costi elevatissimi.
Il funzionamento, in sistema decentrato, è il seguente: ciascun soggetto entra in contatto con altri soggetti attraverso un ID pseudonimo, cioè che non fa risalire al reale soggetto. Ove una persona, attraverso altri tipi di controllo sanitario manuali (da qui la considerazioni che la App è complementare a una strategia globale) egli risultasse positivo, allora tramite i contatti registrati sul suo telefono l’autorità potrebbe, con il suo consenso, rintracciare i soggetti che sono stati esposti al contagio, e via procedendo.
Va da sé che la anonimizzazione, attraverso l’ID pseudonimo, comunque presuppone che vi sia un momento in cui si verifica l’esposizione dei dati personali al fine di rintracciare i contatti a rischio, ma in tal modo ciò avverrebbe solo nel singolo caso, al momento della verifica del soggetto infetto non su base generale.
Ancora, secondo le linee guida il software deve essere pubblico e deve essere sempre possibile una revisione del suo funzionamento da parte di esperti indipendenti.
Infine, in nessun caso l’imposizione di obblighi o restrizioni a carico del cittadino deve dipendere dall’esclusiva valutazione dell’algoritmo, ma deve esserci sempre una valutazione di un operatore sanitario.
Segretezza della app. e scarsa trasparenza
Fin qui le raccomandazioni, il cui reale accoglimento da parte del Governo nessuno è in grado di valutare.
Infatti il bando di gara per la scelta della App è stato segretato e il software non è ancora open source, cioè disponibile per chiunque lo voglia analizzare.
Per passare alle conclusioni, è necessario esaminare brevemente le eccezioni che i fautori della App avanzano alle contestazioni circa l’invasività del sistema, attraverso la proposta di misure correttive.
I fautori dell’uso della App di tracciamento propongono una serie di misure a protezione del soggetto, riguardanti la gestione e il trattamento dei dati.
Preliminarmente osserviamo che questo approccio perpetua l’errore preliminare di cui abbiamo discorso, vale a dire la confusione scientificamente inaccettabile tra il diritto alla riservatezza e il diritto alla tutela dei dati.
Nessuna cautela o misura di sicurezza è in grado di elidere la lesione della riservatezza, mentre è astrattamente in grado di proteggere i dati.
Sistema accentrato o decentrato e anonimizzazione dei dati
I promotori della App di tracciamento propongono la anonimizzazione del dato. In realtà la garanzia dell’anonimato è strettamente legata con la decisione a monte se gli stessi devono essere conservati su base accentrata (in un server) o decentrata (sullo stesso telefonino che li ha raccolti).
Utilizzando l’attuale architettura delle telecomunicazioni, in un sistema accentrato non è possibile garantire l’anonimato completo dei soggetti registrati che utilizzino il loro telefono per l’App, perché, in un Paese dove sono proibiti i telefoni usa e getta con le relative schede SIM anonime, ogni codice identificativo del telefono (IMEI) è associato, all’atto dell’utilizzazione, a una SIM la quale, a sua volta, è collegata a ad un ID cioè una persona tramite la registrazione del suo documento all’atto dell’acquisto. Quindi il software dell’App può anche essere concepito per non proporre come output il nome del proprietario, ma il dato esiste, è conosciuto dal software collegato alle altre banche dati ed è presente, anche se non evidenziato nel data base, ma nella sua potenziale connettività.
La soluzione elaborata anche dalle App europee che sono allo studio è quella di attribuire ad ogni telefonino un ID (identificativo) sostitutivo del tutto anonimo, privo di n. di telefono. In sostanza, nel momento del contatto Bluetooth tra due telefoni questi si scambierebbero non il n. di telefono e l’ID vero (Mario Rossi), ma solo un ID anonimo e, eventualmente, un n. fittizio.
Questa soluzione garantisce esclusivamente nell’ambiente decentrato perché il telefonino di immagazzinamento non è collegato con le banche dati ove sono custodite le connessioni tra IMEI e ID sostitutivo e tra questo ID originario cioè il titolare.
Il punto di caduta di questa anonimizzazione è nel fatto che, ove a seguito di un controllo medico, uno dei soggetti risulti positivo e quindi potenzialmente infestante, occorrerà necessariamente attribuire una identità reale al soggetto per poterlo avvertire e inserire nel programma di quarantena o attenzione. Questo passaggio è inevitabile, ma se compiuto attraverso la procedura mista che abbiamo indicato (cioè a richiesta delle autorità sanitarie il soggetto autorizza a decifrare i suoi contatti a rischio) offre sufficienti garanzie.
Garanzie nella trasmissione dei dati
I promotori della App garantiscono le più pressanti misure di sicurezza per proteggere la trasmissione dei dati tra telefonini e tra questi e il data base.
Il punto è che ciò sarebbe necessario se si scegliesse la soluzione accentrata e il colloquio tra telefonini tramite la rete. Si è detto, invece, che la indicazione dei Garanti è per la comunicazione Bluetooth e il sistema decentrato, ove ciascun telefono non ha bisogno di comunicare con apparati esterni o data base. Anche nella fase del controllo, il dato di contatto sarà leggibile sullo stesso telefonino senza bisogno di alcun contatto extra.
Viceversa, ove si scelga la formula centralizzata, risorge il problema del trasferimento dati e del furto in progress, che è assolutamente irrisolvibile.
Infatti, qualunque comunicazione via a Internet, è per ciò solo a rischio di malware, hacker, furto di dati etc. Nessuno può garantire il 100% di sicurezza, anche nei confronti di eventuali apparati dello Stato, perché dove arriva un hacker può arrivare anche un esperto del Potere costituito. Il furto del flusso dei dati durante il colloquio con il server, del tutto ipotizzabile e già conosciuto nella letteratura specialistica, rende del tutto inutile anche la successiva procedura di cancellazione dei dati al momento della fine della utilizzazione di questo sistema di tracciamento
Questa è una ulteriore conferma della necessità di rifiutare la struttura centralizzata.
Conservazione dei dati in un server pubblico fisicamente allocati presso l’Autorità
Questa soluzione è esclusa dalla premessa per cui l’unica formula sicura è quella decentrata.
Per completezza dobbiamo osservare che la soluzione avanzata non sarebbe stata soddisfacente, neanche ove si fosse scelta la soluzione accentrata. In tal caso non rileva dove è conservato il data base, perché tramite internet esso è sempre a disposizione potenziale di tutti. Il luogo fisico di conservazione è del tutto indifferente, poiché se collegato ad internet, è sempre disponibile per qualunque internauta vi sappia accedere.
Garanzie sulla distruzione dei dati a fine pandemia
Il problema si pone solo in una architettura centralizzata, nella quale si ponga a un certo punto il problema deal cancellazione della massa di dati raccolta. Infatti, nessuna procedura di controllo della cancellazione dei dati in un data base è sicura al 100% perché è sempre possibile introdurre dei malware di cui l’utente può non accorgersi per parecchio tempo, o addirittura mai, che duplichino o conservino i dati asseritamente cancellati. Ma soprattutto, il furto dei dati può ben avvenire durante il trasferimento di essi dal telefono al data base, come si è già detto.
La scelta obbligata per l’architettura decentrata elide il problema. Solo l’architettura decentrata, con la procedura di cancellazione affidata al medesimo proprietario, e soprattutto on la possibilità fisica che i dati fuoriescano dall’hardware del telefono, si risolve il problema.
Esclusione del GPS
La geo localizzazione è esclusa dal EDPB e sconsigliata dal Parlamento europeo, anche se caldeggiata dal mondo medico perché permette, anche se in forma anonima, di tracciare scenari di diffusione del virus su base spazio-temporale.
Essa, però, è sicuramente la più incisiva delle tecnologie.
Lo scenario che richiede la elaborazione di modelli di diffusione della pandemia è senza dubbio utile a livello scientifico, ma può essere realizzato, anche a posteriori, con strumenti che non propongano problemi di riservatezza così evidenti e pesanti.
Conclusioni
Sembra inevitabile concludere per il rifiuto totale del sistema di tracciamento obbligatorio, insanabilmente in contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.
Diverso è l’atteggiamento dinanzi ad un sistema di Registrazione dei Contatti, architettato secondo le indicazioni del Board dei Garanti.
Come si è scritto nel paragrafo destinato alla comparazione, non possiamo comparare due diritti inviolabili per stabilirne una priorità, ma ben possiamo comparare le conseguenze reali delle misure che minacciano di violare questi diritti.
Le indicazioni di Garanti, come abbiamo già evidenziato, sono tali da derubricare il Sistema di Tracciamento, assolutamente invasivo e da rifiutare, a un mero sistema di Registrazione di Contatti, messo a disposizione del solo interessato e nella sua completa disponibilità.
Orbene, sembra che una soluzione fondata sul Bluetooth a bassa intensità, in grado di prendere nota dell’avvenuto contatto al massimo alla distanza di un metro, che identifica un id sostitutivo e lo salva solo sull’hard disk del telefono stesso, per poi esser decodificato solo con il consenso del proprietario e cancellato a volontà di quest’ultimo, non induca una violazione della Privacy ma sia una attività neutra. Esso, di fatto, corrisponderebbe ad un semplice taccuino su cui il proprietario potrebbe spontaneamente prendere nota delle persone che incontra quotidianamente.
Anche la proposta eliminazione della geo localizzazione sembra andare nella direzione giusta.
Sia consentita una riflessione finale non giuridica.
In questi giorni moltissime sono state le citazioni e i richiami al capitolo XXXI dei Promessi Sposi ove si narra della peste del 1630 a Milano. Suggestiva la circostanza che i luoghi siano i medesimi, Milano e la Lombardia, ma ancora più suggestiva, e francamente inquietante, la circostanza che si stiano verificando i medesimi fenomeni sociali previsti o anche solo immaginati dal Manzoni.
La proposta dell’App è sintomatica.
Essa fa nascere e addita all’attenzione della opinione pubblica la categoria degli untori. Le persone cioè portatrici, sane o malate non rileva, responsabili della diffusione del virus e quindi della continuazione della pandemia. E attraverso il ricatto della riduzione dei servizi pubblici, opera nei loro confronti la stessa operazione che il Manzoni ci ricorda nei confronti dei presunti untori, non solo additati, ma aggrediti dalla folla e considerati nemici del popolo.
Girano, anche tra addetti ai lavori e accademici insigni, addirittura ipotesi che ritengono chi rifiuta l’App obbligatoria colpevole del reato di procurata epidemia colposa, mentre il Governo e il suo Presidente che non disponesse la obbligatorietà della App sarebbe colpevole, oltre che di epidemia colposa, anche di omissione di atti d’ufficio. Si pretende cioè di qualificare un comportamento omissivo quale causa efficiente del diffondersi della pandemia, a prescindere da qualsiasi prova sulla relazione di causa effetto tra omissione e diffusione, costruendo un nuovo reato di pericolo assai vago.
Come nei Promessi Sposi, si scatenano i più bassi istinti del popolo giustizialista e autoritario (per gli altri) e la colpevolizzazione di chi ha il solo torto di pensarla diversamente, per di più appellandosi alla Costituzione!
E si arriverà alla delazione nei confronti di chi non ha l’App? si arriverà ad additarlo per la strada come soggetto da evitare? La gogna sociale come in Corea? Appunto. “Dagli, dagli, dagli all’untore.” gridava il popolo di Milano nel 1630.
Non temo la pandemia quanto temo l’avvelenamento delle relazioni sociali e l’esplodere delle peggiori pulsioni.
Anche nell’ipotesi della assoluta volontarietà, senza conseguenze, dell’uso dell’App non possiamo nasconderci che si determinerà una riprovazione e una esclusione sociali dovute alla paura nei confronti di chi rifiutando l’App non fa che esercitare un suo diritto costituzionale. C’è chi alimenta un clima di odio sociale ed egli, sì, è un untore della peggiore delle epidemie quella della sfiducia gli uni negli altri.
Rileggiamo le pagine sugli untori e capiremo esattamente cosa potrebbe accadere.
Ma risorge anche la categoria dei monatti. Più ripuliti degli squallidi esseri di cui Manzoni scrive, vestiti di camice bianco, mascherine e guanti, ma investiti del medesimo compito, quello di scovare e prelevare gli infettati, veri o presunti.
I soliti mestatori e propalatori di complotti hanno inondato internet di scenari apocalittici nei quali frotte di medici e infermieri girerebbero le città, casa per casa, per prelevare i possibili infetti e sottrarli all’affetto dei loro cari, che non li vedrebbero mai più. La madre dell’idiota è sempre incinta. Ma in disparte queste esagerazioni deprecabili, già il clima e la cultura che l’operazione App ha introdotto creano più danni sociali di quanti se ne voglia riparare con il tracciamento.
La libertà a base della Costituzione è una cosa molto delicata. Abbiamo messo secoli per appropriarcene, potremmo perderlo in 24 ore.
Parole
App. Immuni, dati, conservazione, distruzione, personalità, riservatezza, privacy, protezione, anonimizzare, anonimato
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Immuni, dati, riservatezza